Ci sono voluti 24 anni per avere un progetto concreto con il quale dare un futuro all’area della ex Ticosa. Nel 2006, con il sindaco Stefano Bruni, il sogno sembrava a portata di mano.
Poi però, pochi giorni prima dell’avvio delle demolizioni dello scheletro che un tempo aveva dato lavoro a generazioni di comaschi, l’allarme amianto. Prima negato e smentito dall’amministrazione, fino alle analisi dell’Arpa e al sequestro dell’area da parte della procura nell’estate successiva. Fatti i conti (in termini di costi e di tempo) con la sostanza pericolosa, si presentò lo scoglio della bonifica del sottosuolo. Il piano è stato redatto dalla passata amministrazione con l’attuale sindaco Mario Lucini che allora era capogruppo dell’opposizione e aveva paventato imprevisti contestando quello stesso piano che poi si è ritrovato, già appaltato, sulla scrivania. E gli imprevisti non si sono fatti attendere, visto che la bonifica del sottosuolo viaggia con più di un anno di ritardo rispetto alle ipotesi iniziali.
Forse l’origine delle grane sta proprio in quel piano di bonifica, ma l’amministrazione attuale non può chiamarsi fuori dalle responsabilità. Perché, al di là delle spiegazioni tecniche e dei guai di bilancio, è assurdo che il Comune si ritrovi con un debito di due milioni di euro con l’impresa che sta lavorando sull’area. Una cifra enorme che, non essendo stata incassata dall’azienda, rischia addirittura di mandarla in fallimento a causa dei debiti che, a sua volta, ha contratto con le discariche dove ha conferito il materiale, oltre ai costi per i mezzi di scavo e per la manodopera. E che ha portato l’azienda ad abbandonare il cantiere di via Grandi.
La città di Como non si può permettere un altro rinvio sull’area Ticosa, a maggior ragione nel momento in cui sono stati riannodati i fili con Multi, la società italo-olandese che si era aggiudicata la gara per l’acquisto dell’area nel 2006 e che, successivamente aveva ritirato la sua volontà di realizzare l’opera sotto i colpi dei ritardi e degli scontri con il Comune (molti si sono tradotti in vertenze legali, tuttora in corso). Fili che compongono un progetto nuovo appeso, ancora una volta, alla conclusione della bonifica. Che deve essere un’assoluta priorità per il Comune perché ormai di amianto, veleni, scavi, analisi e controanalisi i comaschi non ne possono più. Rivogliono un quartiere, possibilmente con del verde e, soprattutto, il parcheggio.
Senza contare che cedere l’area significa anche generare incassi per il Comune (quantificabili in opere pubbliche) seppur ridimensionati rispetto a sette anni fa, rimettere in moto l’economia attraverso i lavori e restituire un’area a una città già presa a schiaffi per troppo tempo.
Ecco perché una soluzione, appellandosi a qualunque cavillo possibile, va trovata. I due milioni di euro vanno saldati, il cantiere deve ripartire e la bonifica chiudersi, una volta per tutte. Senza ritardi, senza scuse e senza altri imprevisti. Di qualunque tipo.
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