C’è stato chi in trentatré anni ha cambiato per sempre la storia del mondo e dell’umanità. Nel medesimo arco temporale, quello trascorso dall’acquisto dell’ex Ticosa da parte del Comune di Como a oggi, non è accaduto pressoché nulla. E quel poco che è successo non ha aiutato. Se l’area che ospitava la principale industria di Como ha dovuto essere bonificata con notevoli costi a carico del solito Pantalone, è anche perché si è deciso l’abbattimento di capannoni che altrove sono stati risanati e ristrutturati per ritrovare una seconda vita.
A Como la febbre del mattone che è stato uno dei tratti
distintivi dell’ultimo decennio di amministrazioni del centrodestra ha portato, anche in via Grandi, a un esito per nulla felice.
Ora il sindaco Mario Lucini, che ha consapevolmente ereditato questa patata meno rovente solo di quella del lungolago, dice che è venuto il momento di venirne a una con Multi, la società che dovrebbe acquisire il terreno bonificato per poi eseguire un intervento edilizio che però con il passare del tempo, appare sempre meno appetibile e forse anche meno utile per la città. Certo, piuttosto che le eterne macerie meglio piuttosto. Ma nel caso in cui i due mesi fissati da Lucini per chiudere la pratica non portassero al risultato, ci potrebbero anche essere aspetti positivi per la città e (perché no?) per le aziende locali che vogliono intercettare e amplificare i segnali di ripresa.
Il primo cittadino paventa il rischio di far passare almeno altri cinque anni prima di veder spuntare qualcosa da quella desolazione. Certo, non è un prospettiva esaltante. Però, dopo averne visti trascorrere invano trentatrè, altri cinque, in fondo, sono poca cosa. Certo, di mezzo ci sono le elezioni del 2017. E per un Lucini a caccia del logico bis (per un sindaco che vuole lasciare qualcosa non basta un mandato solo), le macerie ancora intonse sarebbero una zavorra non da poco.
Da qui alle urne, però, c’è il tempo più che sufficiente per trovare una prospettiva di riutilizzo dell’area magari maggiormente funzionale a una città che ha visto negli ultimi anni consumare suolo per realizzare aree residenziali. Oltre all’inevitabile e indispensabile parcheggio, insomma, l’ex Ticosa potrebbe accogliere funzioni più in sintonia con la direzione di sviluppo che intende prendere la città. Prima bisognerebbe avere le idee chiare anche su questo aspetto. Che non si sa se ci sono, come dimostra anche la vicenda dell’autosilo interrato di viale Varese che rischia di trasformarsi nell’ennesima occasione perduta, a meno che qualcuno (magari la stessa amministrazione comunale) non sfoderi un colpo d’ala che consenta di salvare capra e cavoli. cioè l’opera e la sua convenienza economica.
La stessa impostazione, in caso di chiusura della zoppicante epopea di Multi, potrebbe essere applicata all’ex Ticosa. Bisognerebbe decidere quali funzioni destinarvi oppure quali liberare da aree della città più attrattive dal punto di vista turistico. È un dibattito già vissuto in questi trentatré anni di inedia progettuale. Ma lo si potrebbe riprendere con il coinvolgimento di tutte le forze vive della città, pubbliche e private che negli ultimi tempi stanno dimostrando di marciare in sintonia e con il giusto passo. Ecco perché forse si può aspettare ancora,
A un patto. Quello di trovare, una buona volta, la mitica quadra. E fare sì che non ci sia un’altra generazione di comaschi costretta a sorbirsi il desolante panorama della via Grande e i fiumi di inutile inchiostro versati cianciando della Ticosa, come l’articolo che, se avete avuto la pazienza di giungere fino a qui, avete letto.
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