Una grande opera. Così grande da occupare una generazione. L’ex Ticosa è passata da Spallino padre, Antonio , il sindaco che nel 1982 decise di acquistarla per evitare che la città di Como perdesse un patrimonio importante sotto il profilo sia urbanistico sia (all’epoca) occupazionale, a Spallino figlio, Lorenzo, assessore dalla giunta Lucini alle prese, nell’anno di grazia 2013, con l’ennesimo tentativo di sciogliere un nodo che in trent’anni è diventato sempre più stretto.
Tra uno Spallino e l’altro è passata anche una generazione di presunti fenomeni della politica che sull’area dismessa divenuta emblema dell’immobilismo comasco si è cimentata in un titanico esercizio di inadeguatezza, incapacità, scarsa lungimiranza e malaccorte speculazioni. Il culmine è stato toccato dalla precedente Giunta, quella guidata da Stefano Bruni, che ha avuto l’impudenza di tappezzare la città con manifesti che segnalavano la soluzione del problema. Invece ne aveva solo creati altri, attraverso la frettolosa demolizione, sotto elezioni, del corpo C con il conseguente pasticcio dell’amianto e la necessità di una robusta e onerosa bonifica che in parte è ancora un’ipoteca sul destino dell’area.
Prima di Bruni, magari in maniera meno colpevolmente maldestra, ci avevano provato tutte le amministrazioni seguite a quella che aveva deciso l’acquisto dall’area dopo la chiusura dalla grande fabbrica. La Ticosa, però, si è sempre rivelata una brutta bestia da domare. Anzi, con il tempo si è ulteriormente inselvatichita come dimostra l’aspetto. Ed è diventata ancora più dispettosa (vedi il caso amianto). Non sarà perciò facile per Spallino junior completare l’opera avviata da Spallino senior. Anche se la vicenda della Ticosa, ormai è diventata una questione quasi più letteraria, da romanzo d’appendice, che non politica o amministrativa. E forse l’epopea da padre in figlio può essere la chiave per far scattare l’happy ending. A favorirlo è anche il progetto. L’idea di costellare di abitazioni una zona vicina al cimitero e priva della luce del sole per gran parte della giornata (anche questi elementi non sono male in chiave narrativa), era perlomeno bizzarra. In una città già punteggiata di appartamenti sfitti, frutto di una programmazione urbanistica sballata che non ha tenuto nel debito conto della crisi e a cui per fortuna si è posto fine con il nuovo Pgt, chi mai avrebbe scelto di andare a insediarsi nell’ex tintostamperia? Se lì, ai tempi, era stata costruita una fabbrica, al di là della presenza del corso d’acqua, una ragione ci sarà pur stata. In questo senso, la tenace resistenza dalla Ticosa a metabolizzare il precedente progetto di Multi, concordato con l’amministrazione Bruni, può anche essere stata lungimirante. Giusto perciò puntare sul terziario, sul commercio, sul verde e sui parcheggi anche a servizio del centro cittadino. Altro di questi tempi non si sarebbe potuto fare. Adesso c’è solo da sperare che non sorgano altri intoppi. Perché la parte sopra e quella interrata dell’ex Ticosa è come un videogioco che ti propone ogni volta un livello più difficile. Di certo, nel bene o forse nel male che in questo caso può diventare un bene, non ci sono mai state, in questi trent’anni, condizioni politiche più favorevoli di queste per arrivare a una soluzione dell’ormai storico problema. Certo, magari è una soluzione non eclatante anche dal punto di vista urbanistico. Ma è sempre una soluzione di fronte a trent’anni di deserto. Se davvero, come ha sottolineato il presidente della famiglia Comasca, Piercesare Bordoli, a Como è tempo di miracoli, conviene approfittarne. Perché risolvere la questione Ticosa sarebbe davvero un miracolo.
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