#Telemacostaisereno. Se il destino della battaglia si vede dalla prima mossa del cavallo, la conquista dell’Europa con tanto di rottamazione della vecchia burocrazia e rilancio flessibile dell’economia è un obiettivo piuttosto lontano. “La nostra generazione è la generazione Telemaco. Dobbiamo fare come lui, dimostrare di meritare l’eredità dei padri dell’Europa”, ha detto il presidente del Consiglio Matteo Renzi ieri a Strasburgo, davanti alla seduta plenaria del Parlamento europeo, nel discorso di inaugurazione del semestre di presidenza
italiano del Consiglio dell’Unione europea. Debuttare non è mai facile, specie su palcoscenici schizzinosi come quello di Strasburgo, specie per un attore tutto istinto come Renzi, che preferisce parlare in maniche di camicia, a chi lo capisce al volo senza traduzioni simultanee. Però, qualcuno dei giovani “generazione Erasmo” del suo staff, freschi di studi, avrebbero potuto ricordargli che Telemaco re di Itaca non lo diventò. Omero non lo racconta, ma è probabile che dovette farsi prestare un po’ di pazienza da Penelope, prima che il vecchio Ulisse si decidesse a mollare l’eredità. Fuori di metafora, il discorso con cui il premier italiano ieri ha preso la guida dell’Europa non è stato un gran discorso. Un po’ di retorica generazionale: “Dobbiamo essere eredi, prendere la tradizione da cui veniamo e assicurarla ai nostri figli. Lo dobbiamo a chi ci ha preceduto, a quanti sono morti affinché l’Europa non fosse solo una espressione geografica ma un’espressione dell’anima”. Qualche immagine nello stile twittarolo che gli è più congeniale, “Che cosa vedremmo se l’Europa si facesse un selfie? Vedremmo l’immagine della stanchezza e della rassegnazione, il volto della noia”.
Comunque le aspettative sul semestre italiano sono molte, e sarebbe assurdo non tifare per la propria Nazionale. Renzi ha dalla sua la stima degli Stati Uniti per quel che può muovere in Europa, e una maggioranza nell’Europarlamento favorevole a rendere più flessibile il Patto di stabilità sui bilanci. Se il suo esordio non è stato tenorile, va però detto che munizioni per la sua battaglia ne ha. Ha detto che bisogna spingere su crescita e sviluppo, “senza crescita l’Europa non ha futuro”, e su questo avrà il sostegno di tutti, specialmente dalle parrti di Londra.
Ma non sarà facile, perché in Europa decidono i capi di Stato e i governi e non la Commissione o il Consiglio Europeo. Così ieri ha già dovuto battibeccare con il Partito popolare europeo – la casa dei conservatori, della Merkel e del rigore. Il nuovo capogruppo Ppe, il tedesco Manfred Weber, è stato duro proprio sulla temutissima (dai tedeschi) flessibilità: “I debiti non creano futuro, lo distruggono”, ha detto, e “l’Italia ha il 130 per cento di debito, dove prende i soldi?”.
A Renzi che all’Europa chiede “più tempo per fare le riforme”, e che arriva a Strasburgo non certo con il cappello in mano, si contrappone insomma un’Europa che – quando serve a chi detiene il “pacchetto di maggioranza” – fa delle regole formali la sua arma micidiale. Così l’uomo a Strasburgo di Angela Merkel ha sibilato: “Come possiamo essere sicuri che le riforme saranno fatte? E come spieghiamo a Irlanda, Portogallo, Grecia, Cipro e Spagna – che stanno faticando per mettersi in ordine – che con i Paesi del G7 (come Italia o Francia, ndr) siamo più flessibili?”. Ma Renzi è un italiano che non difetta il carattere, e ha replicato a muso duro: “Se Weber parlava a nome della Germania, gli ricordo che proprio in questa sala, nella scorsa presidenza italiana, ci fu un Paese cui non solo fu concessa flessibilità ma anche di violare i limiti”, ha detto alludendo proprio alla Germania. La prima partita finisce in pareggio, ma per andare avanti tocca vincere. Dimentichiamoci Prandelli, speriamo in Renzi.
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