Spesso e volentieri il giornalismo è la continuazione del cialtronismo con altri mezzi. Non è che sia poi questa grande novità, la categoria è quella che è, grammatica e sintassi traballano come al solito, le nostre piccole miserie da pennivendoli in cerca d’autore si dipanano in lungo e in largo per tutta la storia della repubblica delle banane. Niente di particolarmente originale, a pensarci bene.
Però è anche certo che in questi tempi bui e tempestosi il combinato disposto di crollo definitivo non solo delle ideologie, ma di qualsiasi solida radice culturale, rivoluzione digitale assolutamente non governata e progressione geometrica dell’analfabetismo funzionale ha creato un cortocircuito non solo politico e informativo, ma soprattutto mentale, cognitivo, antropologico che per chiunque non abbia ancora deciso di mandare il cervello all’ammasso ha davvero dell’incredibile.
L’ultima vicenda che ha dato la stura all’ennesima performance del rutilante circo mediatico è riconducibile all’ormai celeberrimo fenomeno delle “sardine”. Una settimana prima manco sapevano che esistessero, una settimana dopo non si parla d’altro e pare che il loro impatto sulla palude budinosa della nostra politichetta sia stato talmente devastante da indurre quasi la metà degli italiani a vederli come l’unica vera, credibile alternativa al populismo sovranista salviniano. Niente meno. Ora, il fatto che tre ragazzi riempiano di folle straboccanti alcune piazze è oggettivamente una notizia, che va quindi data, analizzata, approfondita, cercando di capire chi sono, cosa pensano, cosa vogliono, di quali visioni si nutrono, quale spazio politico intendono aggredire, quali trappole devono evitare eccetera, come scritto dal nostro ottimo Francesco Angelini sul giornale di ieri. E fin qui ci siamo.
Il punto, però, è purtroppo un altro. Il punto è che sul termine “sardine” ci si dovrebbe soffermare solo un attimo, giusto per capire il perché di quella scelta così stravagante e poi passare oltre, perché dello slogan, sostanzialmente, chissenefrega. Noi invece no. Quella roba lì diventa non l’involucro, l’etichetta, il logo di una cosa nuova che accade, quanto invece il contenuto, l’essenza, la filosofia sulla quale siamo liberi di riversare tutto l’infantilismo, il bambinismo e, diciamoci la verità, il cretinismo di un mondo che vive di superficie, di giochi di parole, di tic, di birignao, di messaggi in codice, di accenni, di ammicchi, di strizzate d’occhi, di battute e ribattute e controbattute e che inizia così a intasare ogni spazio mediatico di metafore e iperboli e chiasmi ed ellissi e urobori e pastrugnamenti vari nei quali tutto è sostituibile e intercambiabile. Tranne la parola “sardina”, ormai vero totem, vero monolito, vero motore immobile della comunicazione politica.
Tanto è vero che a un genio della superficialità furbastra, un virtuoso del surfare sui problemi senza mai andare a fondo, un fenomenale semplificatore e quindi inevitabilmente semplicistico come Salvini non è sembrato vero di metterci il carico da novanta con un bombardamento di messaggi social con tanto di fotomontaggi e meme e tutorial sul tema “Gattini per Salvini” - tutto vero - con le simpatiche bestiole che si pappano i pescetti e via andare di questo passo. Davvero spassoso, niente da dire. Chissà le risate dalle parti dell’Ilva, di Alitalia, di Lampedusa e delle calli allagate di Venezia. E appena partono i gattini, poi arrivano i cagnolini e poi, di rincorsa, tutto il bestiario assortito che, di alta allegoria in alta allegoria, dà modo a noi analisti, noi commentatori, noi fenomeni da baraccone di inzuppare il biscotto nell’ennesimo profluvio di banalità su questo paese che cambia, signora mia, ed è tempo di volti nuovi, di linguaggi nuovi, di parole nuove, di orizzonti nuovi. Che poi tanto nuovi non sono, perché le stesse fregnacce nuoviste le abbiamo scritte per le “madamin” della Tav e i “vaffaday” grilleschi e i “girotondi” morettiani e il “popolo dei fax” anticraxiani e tutto il resto di quei risibili e friabili fenomeni di massa prodotti da una società senza più vincoli e barriere che non ha trovato, grazie proprio alla caduta di vincoli e barriere, la strada per la libertà e il culto dell’individuo, quanto invece quella per l’appecoronamento di gregge, reso universale e totalitario dal detonatore digitale.
E non c’è scampo. Non c’è requie. Non c’è pietà. Ti arriva l’etologo a dirti quanto siano pedagogici i comportamenti collettivi delle sardine e poi ti arriva il nutrizionista che quanto fa bene l’Omega 3 delle sardine e poi ti arriva l’etnografo su quanto le sardine fossero alle basi della nostra civiltà mediterranea e poi ti arriva il designer su quanto ma quanto sia stiloso e asciutto e minimal il look sardinaresco e poi ti arriva il sessuologo che le sardine non lo fanno poi così strano e poi ti arriva il sociologo sui sorprendenti parallelismi tra “massa e potere” e “massa, sardine e potere”. E noi scribacchini tutti ottusi e ciucci e caproni a dare corda a questa pletora di fanfaronate, di buffonate, di cazzate e guarda un po’ questi pesciolini e guarda un po’ questi gattini e chi lo sa se la Bestia sarà più svelta delle Sardine e giù una bella leccata di piedi ai nuovi liderini delle sardine, che non si sa mai se vanno al governo, ma intanto giù una bella leccata di piedi al lider maximo dei gattini, che non si sa mai se torna al governo, e pronti via con gli amarcord e la sera andavamo in via delle sardine e quando ci si vestiva alla sardinista e sempre sardine, sardine, sardine!
Dai, è quella roba che succede sempre nel nostro ambiente, siamo tutti uomini di mondo, per carità. Con l’unica considerazione che fa un po’ tristezza che solo poco tempo fa alcune smeriglianti carriere politiche e giornalistiche siano state costruite sfruttando l’onda lunga del terrorismo o del manipulitismo, oggi invece quella del salvinismo o del sardinismo. Ma questo è un altro, lungo, inutile discorso.
@DiegoMinonzio
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