Un piano delle opere che «va adeguato a una città come Como che vuole avere e ha delle ambizioni». Le parole sono dell’assessore al Bilancio Giulia Pusterla che, in consiglio comunale, ha spiegato i conti del Comune e le pochissime possibilità di investimenti. Asfaltature, sistemazione delle fognature, cantieri, scuole (troppe non sono nemmeno a norma e spesso lo si ricorda solo quando succedono guai), verde, arredo urbano, grandi opere.
Ma soldi significano anche più cultura, più turismo e, in un periodo di crisi tanto drammatica, contributi ai servizi sociali che invece sono costretti a chiudere tante porte.
E a finire nel cassetto, o addirittura nel cestino, purtroppo non sono soltanto le ambizioni della città, ma anche interventi banali. In fondo le richieste dei cittadini – a cui solo la gestione della macchina comunale costa più di mille euro l’anno a testa – non vanno certo nella direzione dello spreco e nemmeno delle opere faraoniche. Sono richieste tanto semplici quanto sempre più spesso difficili da evadere: strade senza buche, lampioni accesi, segnaletica chiara, pulizia, asili nido senza liste d’attesa, scuole sicure. Certo, chiedono anche un lungolago accettabile e magari di non continuare a convivere con la voragine della Ticosa. Tutto questo è da considerare il mimino, un atto dovuto. Eppure ogni singolo intervento sembra diventare un ostacolo insormontabile.
Tralasciando le guerre politiche tra maggioranza e opposizione («Non ci sono soldi», «Se si vuole si trovano»), un dato però è certo: da Roma quest’anno, come emerso in consiglio comunale, arriveranno 520mila euro di trasferimenti (resta il punto di domanda dell’Imu) a fronte dei 21 milioni di sei anni fa, ma anche dei 7 di dodici mesi fa. Il paradosso, tutt’altro che secondario, è che ci si ritrovi ad approvare a luglio un bilancio che dovrebbe essere, come dice il nome, <di previsione>, perché per mesi si è aspettato di avere dallo Stato cifre esatte per poterlo compilare. Cifre che non sono ancora arrivate.
Ci si poteva e, forse doveva, muovere prima, ma il dato vero è che i Comuni – alla faccia di essere gli enti più vicino ai cittadini – sono praticamente abbandonati a loro stessi. Si ritrovano a dover fare i conti con restrizioni, tagli e obblighi sempre più stringenti imposti dallo Stato che, alla fine, mettono in ginocchio le amministrazioni e i cittadini.
Fino a qualche anno fa qualcuno poteva obiettare che anche nel piccolo si annidano gli sprechi, ma oggi, con i bilanci ridotti all’osso, le spese sono state drasticamente tagliate. Il sindaco, ciascun assessore e ciascun dirigente comunale, devono sentirsi responsabili per ogni euro speso. I comaschi non possono accettare di aver dovuto subire un aumento delle tasse solo un anno fa (Imu e Irpef) per poi assistere a errori o valutazioni sbagliate che portino ad aumentare alcune spese comunali. Perché nemmeno un euro va buttato.
Da Roma, però, le amministrazioni aspettano un segnale. Segnale che deve arrivare da un cambio di rotta serio che veda mettere in atto sacrifici – e pesanti – da chi il Paese lo governa. Non è più accettabile, infatti, vedere milioni e milioni di euro tagliati a Como, ma nessun provvedimento proporzionale applicato allo Stato. Perché troppo spesso da Roma si taglia, ma poi a dover aumentare aliquote e tariffe per garantire i servizi minimi sono i Comuni. E le tasse, chiunque le applichi e qualunque nome (vecchio o nuovo) abbiano, vengono sempre pagate dallo stesso cittadino.
© RIPRODUZIONE RISERVATA