La luna di miele di Renzi con l’opinione pubblica, se non è tramontata, è certo agli sgoccioli. I più reattivi a raffreddare i loro originari slanci verso la giovane promessa della politica italiana sono stati gli investitori.È gente, questa, usa a badare al sodo. No riforme, no equity è la sua parola d’ordine. È già da due mesi che hanno cominciato a defluire dalla Borsa di Milano cospicui capitali in cerca di più promettenti piazze finanziarie. Anche i semplici cittadini, comunque, manifestano nervosismo, possibile anticipo di un prossimo disamoramento.
Si avvicina la scadenza della Finanziaria e il governo è chiamato a scoprire le sue carte. La baldanza di Renzi non basta a coprire l’incertezza del governo sulle misure da assumere per rispettare i vincoli di bilancio imposti dalla Commissione europea. I promessi risparmi di spesa, unica alternativa ad un altrimenti inevitabile aggravamento di una pressione fiscale già soffocante, tardano a prendere corpo. Le ipotesi finora avanzate, o solo trapelate (tagli alle pensioni superiori ai 3.500 euro mensili, rinnovo del blocco degli stipendi agli statali) hanno avuto solo l’effetto - scontato - di suscitare un allarme generale. Inoltre hanno tradito la confusione che domina nei ministeri sui passi da compiere.
L’attuale basso livello dello spread non deve, del resto, indurre a nutrire soverchie illusioni sulla buona disposizione dei mercati nei confronti del nostro debito pubblico, già esorbitante e pericolosamente in espansione. L’enorme liquidità messa in circolo dalle banche centrali unita ad un costo del denaro straordinariamente allettante favorisce un facile collocamento dei nostri Bot e Btp. In epoca, però, di globalizzazione dei mercati finanziari e di imponenti transazioni in tempo reale basta un semplice rovescio locale per innescare una spaventosa bufera e i navigli più fragili come il nostro sarebbero ovviamente i primi a imbarcare acqua.
Renzi fa molto affidamento sugli sforamenti dei parametri europei da parte di altri paesi per strappare una maggiore flessibilità del vincolo di bilancio al 3% del Pil, che dia una boccata di ossigeno alla stremata economia nazionale. Ma non è questo il fronte strategico su cui si decide l’invocata inversione di tendenza del ciclo economico. Per non finire soffocati dalla montagna di debito pubblico che ci sta schiacciando non c’è altra via di salvezza di una ripresa produttiva, la sola che può far discendere il rapporto tra debito e Pil dalle vertiginose vette attuali. Non c’è ripresa senza nuovi investimenti e gli imprenditori non torneranno a scommettere sulla nostra economia in assenza di chiari passi che ripristinino convenienza e certezza di prospettive. L’occhio è puntato, perciò, sul pacchetto riformistico di Renzi, in particolare sugli interventi attesi su mercato del lavoro, macchina amministrativa e giustizia civile: tre fronti dove è maggiore il ritardo dell’Italia rispetto alle altre economie in fatto di competitività e concorrenzialità.
Il prossimo 29 agosto è in calendario un consiglio dei ministri che dovrebbe decidere finalmente le prime serie misure, almeno in tema di giustizia civile. Si comincerà a capire se Renzi intende passare davvero dalle parole ai fatti attuando quello shock all’economia italiana senza il quale non ci sarà uscita dalla persistente stagnazione.
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