Ogni tanto basta la prima pagina di un giornale per capire tutto di una città. Quella della “Provincia” di venerdì scorso, ad esempio, è da collezione storica. Niente di costruito a tavolino, per carità, ma tessuto invece da quel filo sottile che lega eventi lontani e disparati dentro un unico disegno, un unico scacchiere, un’unica visione emblematica.
In apertura, l’arresto dell’ex sindaco di Como, Stefano Bruni, per bancarotta e altri reati finanziari legati alla sua attività di commercialista. Sotto, l’ennesimo capitolo della nostra campagna delle cartoline da spedire a Renzi per cancellare lo scempio del lungolago. Al piede, il crollo di un palco del Politeama nel bel mezzo di un sopralluogo dei rappresentanti di una società interessata all’acquisizione dello storico teatro comasco.
Tre notizie choc, tre scandali, tre vergogne non solo cittadine, ma nazionali: un’unica metafora di una città allo sbando. Questo è il punto su cui vale davvero la pena di riflettere.
Partiamo dal caso Bruni, già raccontato e commentato in modo impeccabile dai nostri cronisti politici e giudiziari. La vicenda non tocca per nulla la sfera dell’amministrazione di centrodestra dal 2002 al 2012, gli anni dell’apogeo berlusconiano in città e non solo, e bisogna sempre ricordare che un arresto è “solo” un arresto, che dopo ci sarà un giudizio di primo, secondo e terzo grado e che quindi Bruni rimarrà un innocente fino alla sentenza di Cassazione. Perché troppe ne abbiamo viste, in questi anni, di incarcerazioni clamorose poi altrettanto clamorosamente smentite o attutite dai processi: quindi attenti prima di partire con la Santa Inquisizione. Ma quello che ci preme sottolineare qui non è tanto l’aspetto giudiziario, quanto quello culturale, umano e addirittura antropologico, già ben delineato da Bruno Profazio e Francesco Angelini, e di come la politica in questo caso non sia stata occasione di crescita civile e intellettuale, quanto invece tarlo infido, palude avvolgente, demone shakespeariano che riduce così spesso gli esseri umani a pupazzi devastati dalla brama di potere. Ecco, il sindaco simbolo del centrodestra trionfante, oggi è in prigione. È una grande pedagogia, per tutti.
Ma la sua colpa più grave non è questa. La vera cosa imperdonabile è aver posto la sua firma su due provvedimenti nefandi che testimoniano ogni giorno ai cittadini la loro perpetua nefandezza. La Ticosa e le paratie. E qui siamo arrivati al secondo punto, quello che da due settimane stiamo cavalcando grazie a una campagna giornalistica, civica e culturale dal successo così clamoroso da travalicare i confini del territorio e della regione, assurgendo a vero e proprio caso internazionale. Se non fosse uno scandalo così eclatante, non avrebbe mai riscosso un’attenzione così vasta, stratificata e condivisa. E anche questa è una grande pedagogia, per la destra e per la sinistra, per il Comune e per la Regione.
E fra le responsabilità amministrative che l’ex sindaco condivide con l’attuale c’è pure la situazione incommentabile del Politeama, simbolo ormai decennale di degrado e abbandono nel cuore di una delle città più ricche, più colte e più sviluppate del paese. Uno sfregio così plateale da essere diventato protagonista giusto un paio di anni fa di un film di grande successo di Paolo Virzì, “Il capitale umano”, che in una scena particolarmente intensa girata al suo interno quasi profetizzava la fine ingloriosa del Politeama. Il crollo del palco dell’altro giorno - per puro miracolo non c’è scappato il morto - è un altro segno del destino, un messaggio che ci dice che una ferita del genere non può più essere sopportata.
Una prima pagina lugubre, tombale, depressiva, quella di venerdì. Una roba da tirare giù la clèr e andarsene a casa. Poi però, sbocciano certi segni che cambiano tutto. Gli scatti d’orgoglio. I colpi d’ala. Le mosse del cavallo. La voglia di opporsi al declino, alla dittatura degli insipienti, degli incapaci, dei mediocri, dei peggiori.
Anche ieri i nostri cronisti presenti al gazebo in piazza Duomo sono stati travolti dall’attenzione, dall’amore dei comaschi per la loro terra e dallo sdegno civilissimo ma tenace contro tutti quelli che hanno ridotto il lungolago più bello del mondo in queste condizioni.
Migliaia e migliaia di cartoline firmate e imbucate nella nostra urna, pronte a unirsi alle altre già sistemate in una dozzina di scatoloni che, probabilmente appena passate le elezioni, porteremo dritti filati a Palazzo Chigi. “La Provincia”, da giornale carico di storia secolare, ha avuto l’intuizione di raccogliere nel suo seno il meglio del senso di identità dei cittadini, di rappresentarlo, di sintetizzarlo nell’hashtag ormai celebre #rivogliamoilnostrolago che non rappresenta uno stucchevole imeneo retorico, quanto invece l’impeto di una società civile che non abbandona la sua città, si ribella al brutto e butta la palla ben dentro il campo della politica.
Ora la palla è lì. Ed è un rigore a porta vuota. O la politica - quella che vale, quella che conta, quella che decide - segna il gol decisivo e fa piazza pulita della passeggiata della vergogna e poi delle altre schifezze in serie come il Politeama, la Ticosa eccetera eccetera oppure i ponti con i comaschi saranno tagliati davvero per sempre. E le conseguenze, per i politici, pesantissime. E “La Provincia” sarà lì a raccontarle tutte.
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