Il precedente governo guidato da Mario Monti rischia di passare alla storia come l’esecutivo che, malgrado le buone intenzioni della vigilia, ha abortito il più alto numero di riforme della pubblica amministrazione del nostro paese.
È di questi giorni la notizia del Tar della Puglia, sezione di Lecce, che ha accolto la domanda della Camera Forense di Casarano di sospendere l’efficacia del decreto del ministero della Giustizia con il quale è stata disposta la soppressione della sezione distaccata di Casarano (Tribunale di Lecce). Mentre a Como assistiamo silenti e rassegnati alla soppressione delle sezioni distaccate di Erba, Menaggio e Cantù, in terra salentina gli avvocati non hanno esitato a ribellarsi alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie appellandosi al Tar che, negli ultimi tempi, non smette di stupire per questo singolare potere di interdizione davanti al quale i pubblici poteri appaiono disarmati. L’esempio del Tar della Puglia, che ha fissato per mercoledì 18 la trattazione di quello che, tecnicamente, viene definito “incidente cautelare”, potrebbe avere conseguenze eversive sull’intero impianto della riforma che, dopo questo precedente, appare fatalmente esposto ad altri provvedimenti simili adottati da altri Tar. Contro la soppressione delle sezioni distaccate da tempo sono scesi in campo avvocati e cancellieri di varie località: Sala Consilina, Alba, Chivasso, Manfredonia, sono tutti esempi di una clamorosa rivolta contro una “spending review” sempre più indigesta di cui nessuno pare disposto a pagare il prezzo. Nei giorni scorsi la stampa nazionale ha segnalato il caso del sindaco di Rossano che, per impedire il trasloco dei fascicoli di causa, avrebbe perfino chiuso la strada che conduce al Palazzo di Giustizia. Sull’onda di quanto avvenuto a Casarano, in Puglia si sarebbero rivolti al Tar anche Gallipoli e Tricase (Manduria, invece, avrebbe già beneficiato di una proroga al 31 dicembre).
C’è da restare esterrefatti davanti a questa babele che sintetizza efficacemente il lento sgretolamento di uno Stato che non sa più cosa sia esattamente la “certezza del diritto” che, non andrebbe mai dimenticato, costituisce il pilastro di una vera democrazia liberale. Stiamo assistendo ad una devastante proliferazione delle fonti del diritto, all’avvento di una sorta di neo-feudalesimo che sta progressivamente esautorando il potere d’imperio dello Stato che, oltre a cedere quote crescenti della propria sovranità all’Europa, assiste impotente all’erosione del primato della legge da parte di un apparato giurisdizionale che, a causa della latitanza del Parlamento, seguita a svolgere un ruolo di supplenza sempre più debordante. In questa superfetazione di soggetti giudicanti, in questo affastellarsi di normative e sentenze, il cittadino rischia di vivere la democrazia come un incubo. La legge di riforma della cosiddetta “geografia giudiziaria” rappresenta una delle tante follie di un legislatore schizofrenico che vive l’ossessione del risanamento dei conti pubblici dimenticando le più elementari esigenze del cittadino.
Se vogliamo ridare un senso a quello che osiamo ancora definire “Stato di diritto”, risulta indispensabile fare una riflessione per capire dove vuole andare questo paese che sembra avere smarrito ogni riferimento e ogni certezza.
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