Turismo a Como
Pagliuzze e travi

Avrà anche le sue ragioni il presidente dei commercianti comaschi, Giansilvio Primavesi, quando sostiene che ben altri sono i problemi di Como che non i negozi chiusi in una domenica di Pasqua caratterizzata da un sorprendente (stando alle previsioni) bel tempo, da una Città murata affollata e babelica (ci si passi il neologismo riferito ai tanti e diversi idiomi che potevano essere ascoltati da chi percorreva la “vasca” cittadina), dai bar e ristoranti con i tavolini all’aperto gremiti come uno stadio durante la finale di Champions League.

Ma al di là della scontato biasimo contro il benaltrismo che non è mai risolutivo, alla constatazione di Primavesi per cui anche con le saracinesche alzate nelle giornate festivi si fanno magri affari,si potrebbe opporre l’esempio milanese. Nel capoluogo lombardo, infatti, ieri (oltretutto una giornata certo meno favorevole dal punto di vista meteorologico) i negozianti hanno deciso di tenere aperto, sfidando anche il conservatorismo dei sindacati dei lavoratori del commercio per cui le feste vanno santificate anche durante una crisi che continua a mordere in profondità.

Lo hanno fatto, i titolari delle botteghe meneghine, anche in vista di Expo. Un evento, che, se si fa il paragone, a Primavesi e ai suoi associati sembrerebbe interessare poco. Intendiamoci, nessuno vuole organizzare crociate per sventrare le saracinesche abbassate. Ma un comasco che si recasse per diporto in un’altra città definita turistica, potendo fare acquisti anche a Pasqua o il 25 Aprile, o perfino il Primo Maggio, qualche domanda se la porrebbe. Perché da noi no? Perché ci riempiamo la bocca con tante parole sulle potenzialità attrattive di Como, che peraltro trovano riscontro nei dati sulle presenze dei visitatori, addirittura in controtendenza con l’andamento nazionale, ma poi i negozi chiudono durante le feste perché tanto, parole del leader dei commercianti, la gente non compra? Un mistero. E neppure buffo. Domenica, sulle pagine de “La Provincia”, Barbara Minghetti, presidente del Sociale, una che in fatto di capacità attrattiva la sa lunga visti i risultati ottenuti dal teatro durante la sua gestione, sottolineava come da qualche tempo, quando si reca all’estero per promuovere la sua istituzione culturale non deve più spiegare che si trova vicino a Milano. Basta la parola “Como” e tutti capiscono. Sarà una fama magari dovuta anche al muro che stava sorgendo sul lago che ha fatto sghignazzare mezzo mondo. Ma si sa che, anche se negativa, la pubblicità funziona sempre. Insomma non si capisce la ragione del corto circuito di una città che sembra essere diventata turistica a dispetto di coloro che potrebbero ricavarne dei benefici. Gli stessi peraltro che stanno ingaggiando una battaglia contro l’allargamento della pedonalizzazione del centro storico, magari anche con qualche ragione che rischia però di essere vanificata se, in una domenica di Pasqua con turisti che spuntano da ogni dove, chiudi il negozio. Barbara Minghetti, nell’intervista al nostro giornale, sottolinea anche la necessità per i comaschi, di fare sistema per garantire un futuro florido alla città. Questo non significa continuare nel biblico giochetto delle pagliuzze e delle travi. Vero che c’è il lungolago in affanno, la Ticosa in perenne ritardo e le tante pecche piccole e grandi di Como. Ma il benaltrismo non fa del bene. Anche a chi lo pratica.

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