Immaginare, al pari di andare in palestra e mangiare frutta, fa bene alla salute. In più, non costa nulla: lo stesso non si può dire delle altre attività appena menzionate. Immaginiamo, dunque: e con forza. Di più: con sfacciataggine e sprezzo del ridicolo. Buona parte delle cose che immaginiamo finiranno in nulla, nuvolette inconsistenti che si perderanno nell’infinito serbatoio delle cose mai accadute. E’ possibile però che un frammento della nostra immaginazione diventi realtà e allora più avremo osato nel fantasticare più avremo offerto al mondo un contributo significativo.
Da comaschi, che cosa possiamo immaginare per il futuro della città? Le prime cose che vengono in mente non sono fantasticherie: sono riparazioni. Tutti vorremmo vedere l’area Ticosa finalmente riscattata dallo stato di abbandono pluridecennale in cui si trova e che, più che al centro di Como, la fa assomigliare alla periferia di Tombstone; più ancora ci piacerebbe venisse risolta la questione del lungolago, ovvero delle paratie, in modo che Como si veda restituire il suo smagliante biglietto da visita. Tutto questo è però utile, necessario e addirittura indispensabile: come tale non appartiene al territorio dell’immaginazione quanto a quello dell’emergenza e, si spera, della programmazione.
Se vogliamo davvero pensare alla Como del futuro dobbiamo spingerci un poco più in là e immaginare non tanto in “grande” quanto in “alto”. Su quali fondamenta potrebbe basarsi questa nostra città ideale? Per esempio su caratteristiche già esistenti ma non ancora portate alla piena estensione della loro potenzialità. Si tratta del turismo, che non esitiamo a citare ancora una volta, anche se ne parla (e straparla) da tempo, e della cultura scientifica, di cui Como porta il marchio soprattutto, ma non solo, per aver dato i natali ad Alessandro Volta.
Lo ha detto appena l’altro giorno, in un’intervista a questo giornale, il premio Nobel per la fisica Claude Cohen-Tannoudji: «Qui mi sento a casa». Oggi pomeriggio, Cohen-Tannoudji parteciperà a una conferenza al Sociale di Como, “Luce e atomi”, appuntamento che il programma del Festival della luce definisce “Evento per il grande pubblico”. Ma davvero il “grande pubblico” può accorrere alla conferenza di uno scienziato come farebbe a un concerto di Van De Sfroos o a una partita con Metta World Peace? La risposta è: molto più di quanto ci si aspetti.
La scienza, anche grazie a decenni di divulgazione in tv e nei giornali, appassiona oggi quanto la musica o lo sport, ed è vista come un’espressione della creatività umana non più elitaria e intellettualmente inaccessibile. Al contrario, lo scienziato è invitato a portare la sua materia al pubblico, come uno scrittore fa con la sua narrativa o un poeta con le sue visioni. Le scoperte, gli studi, le ricerche: tutto questo esalta e perfino commuove quanto una sinfonia o la mostra di un artista ispirato.
Di questo collegamento tra scienza e pubblico, Como può essere culla ideale: non le manca né la tradizione né il materiale umano. Ecco dove potrebbe portarci un’immaginazione sfacciata abbastanza da credere in se stessa: a vivere in una città aperta ad accogliere visitatori da tutto il mondo e in grado di alimentare lo scambio di conoscenze, di progetti e di ricerche. Piacerebbe a tanti vivere in una città così: Como ha la chance di arrivarci in anticipo rispetto ad altri centri. E non vale dire che, prima, bisognerebbe aggiustare le buche e sistemare le panchine: si può fare l’una e l’altra cosa. Anzi, in nome di una città come questa, si deve.
© RIPRODUZIONE RISERVATA