Se avete cominciato a leggere attratti dalla domanda del titolo cercherete una risposta che nessun uomo, figurarsi un giornalista, può scodellarvi sul piatto come una verità che dà nutrimento. Un giornale e un giornalista per costituzione vivono nel tempo e lo raccontano giorno per giorno. Immersi nel fluire degli eventi e affaccendati a narrare le vicende umane, raramente trovano l’energia per alzare lo sguardo oltre l’orizzonte quotidiano.
Eppure nessuno come un giornale e giornalista può parlare del tempo perché la loro vita stessa è scandita dalle ore, dai minuti e dai secondi per scrivere tutto e in fretta. C’è nella giornata di una redazione il ritmo frenetico delle vite, quelle di tutti. Come se le corse e le ansie degli abitanti di una città si concentrassero sulle scrivanie dove i colleghi le sprigionano davanti ai computer trasformandole in titoli e articoli. Un miracolo che si rinnova ogni giorno.
Chiedere a un giornalista che cosa è il tempo è un errore madornale che diventa imperdonabile se la domanda si colloca tra un anno che sta per finire e uno, tutto nuovo, che sta per cominciare. Il tempo per lui è quanto gli rimane per finire l’articolo, il titolo, la pagina. La macchina organizzativa non si ferma. Non lo aspetta. C’è un giornale da stampare. Eppure si chiude un periodo di dodici mesi che definiamo anno. Cala il sipario su questo 2017 e solo sfogliando le prime pagine di ogni giorno passato ci si rende conto di quanto ha significato per ciascuno, per la nostra comunità e per il mondo intero.
Un anno da archiviare con tutti i suoi problemi e le sue attese. E le sue paure. E le sue speranze. Con i suoi dolori e con le sue gioie.
E un anno nuovo da accogliere. Con la consapevolezza che la varietà delle situazioni e delle emozioni sarà essa stessa la ragione per viverlo con passione.
Il tempo, questo concetto inafferrabile, dà un ritmo alla vita umana e divide le età da bambino, giovane, adulto, vecchio. Per ciascuno il tempo ha significati diversi. Un anno che finisce è scoperta per un piccolo, esperienza per un giovane, attesa per uno maturo, nostalgia per un anziano. Un anno che inizia è per tutti speranza. L’auspicio che le cose possano andare meglio, per le situazioni dei singoli e per lo stato delle comunità e del nostro paese e del mondo intero. C’è l’augurio che chi non ha un lavoro lo possa trovare, che chi è malato possa guarire, che si possa vivere tutti in pace e serenità. È il desiderio di felicità.
L’anno che se ne va ci lascia una eredità di crisi economica, di tensioni internazionali, di rischi di violenze e di guerre, di una salute del pianeta da proteggere, di immagini tristi che non si riesce a dimenticare.
È stato anche un anno dove le forze del male hanno ringhiato ma per fortuna non hanno prevalso. Ci sono state anche tante manifestazioni positive in molti campi dall’economia alla società, dalla cultura alla politica. I grandi fenomeni che scuotono la vita delle città e dei paesi hanno suscitato reazioni contrastanti consentendo di esprimere sia aggressività sia dolcezza, sia paura sia accoglienza.
Che ne sarà dell’anno che sta per iniziare? Che cosa porterà di buono e che cosa di negativo?
In Italia ci saranno le elezioni il 4 marzo. La data ricorda una bella canzone di Lucio Dalla che in un altro brano ebbe versi perfetti per descrivere le ore che stiamo vivendo: «Caro amico ti scrivo... L’anno vecchio è finito ormai/ma qualcosa ancora qui non va/... ma la televisione ha detto che il nuovo anno/ porterà una trasformazione/ e tutti quanti stiamo già aspettando».
Lo scorrere degli anni dovrebbe aiutarci a guardare le cose con maggiore serenità: anche le elezioni per scegliere chi governa l’Italia non saranno la fine del mondo e neppure l’inizio di una nuova era messianica. Si voterà anche per la Regione e vale lo stesso insegnamento.
Gli eventi e le nostre vite sono collocate nel tempo che dividiamo in passato, presente e futuro anche se solo il momento che ci sta dinanzi è reale. Come spiegavano i filosofi, il passato non c’è più e il futuro non c’è ancora. Lo scorrere del tempo rende la realtà molto provvisoria. Eppure non riusciamo a farcene una ragione. Tendiamo ad assolutizzare anche se l’esperienza ci dice che tutto passa e tutto cambia.
Possiamo domandarci che cosa resta. Dipende. Noi abbiamo un’idea del tempo come una freccia che va sempre in una direzione. Altre culture hanno una visione del tempo come un cerchio, un continuo movimento circolare.
I fisici moderni ci dicono che il tempo non esiste. Non è una entità autonoma ma è intrecciato indissolubilmente con lo spazio. E il suo fluire sarebbe il susseguirsi di increspature spazio-tempo.
L’idea di Einstein ebbe un’anticipazione nei paradossi di Zenone per il quale dividendo all’infinito lo spazio e il tempo Achille non avrebbe mai raggiunto la tartaruga e la freccia scoccata dall’arciere non avrebbe mai toccato il bersaglio.
Dobbiamo chiederci se il tempo esiste anche senza di noi che immergendoci in esso lo vediamo scorrere. Quello che sappiamo è che definiamo un anno la misurazione del tempo che la Terra impiega a compiere un giro completo intorno al Sole. Un anno terrestre vale 365 giorni e rotti. Ma un anno su Mercurio dura solo 88 giorni e quello di Saturno è invece di 30 nostri anni. San Pietro nella seconda lettera scrisse che «davanti al Signore un solo giorno è come mille anni e mille anni come un solo giorno». Aveva ascoltato e creduto che «il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino».
Che cosa è dunque il tempo? Chi mai può rispondere? La più bella difesa dell’umana ignoranza sul tempo è di Sant’Agostino: «Se nessuno m’interroga, lo so; se volessi spiegarlo a chi m’interroga, non lo so».
C’è chi ha scritto su un muro che «il tempo è il modo in cui Dio impedisce che le cose accadano tutte insieme». Può essere la risposta alla domanda del titolo, quindi: felici accadimenti e buon anno.
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