Sì, certo, ha ragione il sindaco Mario Lucini quando sostiene che c’è ancora molto da fare. Il punto però è capire se la sua amministrazione, devastata dall’inchiesta giudiziaria sul lungolago, sia o meno in condizione di portare il mandato alla scadenza naturale.
E’ stato questo il tema al centro del dibattito politico locale nelle ultime settimane, il no alla mozione di sfiducia presentata dall’opposizione ha chiuso un capitolo ma, ovviamente, non ha liberato il campo dai problemi. Questi ultimi, con due dirigenti tecnici apicali messi fuori gioco dalla magistratura, hanno innanzi tutto a che fare con la macchina amministrativa del giorno per giorno. Non è una circostanza di poco conto.
L’apparato comunale - va così da molti anni ahinoi - è male organizzato e sconta, accanto alle inefficienze diffuse e stranote della pubblica amministrazione, un’arretratezza specifica che gli ultimi sindaci non hanno affrontato con efficacia.
Se questo è il contesto è facile immaginare come possano lavorare ora gli uffici, a cominciare da quelli direttamente interessati dalla vicenda delle paratie. Il rischio, del tutto evidente e forse anche comprensibile, è che di fronte alle indagini, che si sono via via allargate a quasi tutti gli appalti relativi alle opere pubbliche, la burocrazia si fermi in attesa (ma i tempi saranno lunghi) che passi la bufera.
Tra le molte preoccupazioni c’è anche questa nella testa di Mario Lucini che, non a caso, nel dibattito in consiglio comunale sulla sfiducia ha voluto lanciare un messaggio ai dipendenti nel tentativo, forse vano, di trasmettere fiducia, un poco di coraggio. Non sarà facile, per il sindaco, riuscire in questo compito. Lo sarà, ancora di più, se l’attività dell’amministrazione continuerà ad essere sostanzialmente slegata dai partiti che la sostengono come forze di maggioranza. Guai se le segreterie tornassero, come avveniva nella prima repubblica, a dettare l’agenda di governo della città intrallazzando su ogni virgola. Guai però - e il presente è lì a dimostrarlo - se mancherà il loro ruolo di supporto, anche critico lì dove serve, nei momenti decisivi.
L’elezione diretta dei sindaci ha portato molti benefici, tra i contro c’è però quello di avere indotto in tanti primi cittadini l’illusione di poter sempre fare tutto da sé. Un’illusione che alla lunga può costare cara. Ora, nel caso comasco, spicca la distanza tra l’enfasi posta dal Pd in particolare sulla necessità di stabilire un patto di fine mandato e l’evanescenza del risultato. L’idea, così perlomeno sembrava da fuori, era quello di concordare a livello politico due-tre progetti, fattibili nell’arco del prossimo anno, tali da dare un senso preciso alla prosecuzione del mandato in alternativa al commissariamento che resta la soluzione migliore se l’obiettivo è quello di limitarsi all’ordinaria amministrazione.
Ora il segretario provinciale, Angelo Orsenigo, assicura che, tempo un paio di settimane, e verrà messo tutto nero su bianco. Forse finirà davvero così, ma l’impressione è che si stia dando seguito a una pratica con un esito già scritto. Utile forse a tenere buona la minoranza interna, non a far fare uno scatto in avanti al sindaco e alla sua giunta.
E dire che sarebbe stata l’occasione di un tagliando vero all’amministrazione, indispensabile forse per affrontare i mesi prossimi quando, inevitabilmente, peseranno anche le turbolenze legate al referendum e soprattutto alla campagna delle primarie.
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