Qual è il futuro di Como? In fondo la questione è tutta qui ed è da qui che si è aperto il dibattito sul progetto di Como città universitaria ieri al forum organizzato da La Provincia con alcuni dei principali stakeholder del territorio. A trent’anni dall’avvio delle lezioni, è diffusa l’esigenza di una riflessione sul percorso alle spalle e di una strategia nuova per affrontare il futuro in un contesto, per molti aspetti radicalmente diverso, rispetto a quello in cui, nei primi anni Settanta, furono gettate le basi per l’avvio dell’università.
Il forum è il primo atto, ovviamente, di un dibattito che continuerà e che coinvolgerà molte altre voci della comunità. Quelle che c’erano ieri qui in redazione – il sindaco Mario Lucini, il presidente della Fondazione Volta Mauro Frangi, il presidente della Fondazione della Comunità Comasca Giacomo Castiglioni, il presidente di Sviluppo Como Enrico Lironi, gli imprenditori Giampiero Majocchi e Graziano Brenna, l’ingegnere Paolo Sinigaglia – si sono tutte distinte per la passione, la competenza, la volontà di mettere sul tavolo idee e proposte concrete e non generiche considerazioni sull’universo mondo. Non è poco, anzi è tantissimo, è la garanzia migliore per affrontare un dibattito senza pregiudizi, vecchie ruggini, punti di riferimento superati.
Facciamo un po’ di storia. Como è sede universitaria dal 1987, anno di avvio dei primi corsi del Politecnico di Milano. Il progetto della città universitaria è via via cresciuto con l’istituzione di regolari corsi di laurea in Ingegneria gemmati appunto dal Politecnico milanese oltre che in Scienze e più tardi in Giurisprudenza, gemmati dall’Università degli studi di Milano e poi confluiti nell’Università dell’Insubria nel 1998.
Trent’anni di progetti e investimenti del territorio che, a lungo, è stato sostenitore convinto della necessità di mantenere a Como un polo universitario. Un percorso che negli ultimi anni si è ridimensionato nonostante il progressivo radicamento dell’Insubria. È sfumato il sogno del campus al San Martino e, soprattutto, il Politecnico ha deciso di limitare notevolmente la propria presenza a Como. Da un bacino di circa 1700 studenti siamo arrivati ad un totale di 500 iscritti. Da cinque insegnamenti (ingegneria informatica, ambientale, gestionale, geomatica e design) è rimasto un corso di laurea (informatica). Gli spazi del Poli a Palazzo Natta sono pressoché deserti e i posti letto de La Presentazione in via Briantea sono in gran parte utilizzati da ragazzi che studiano a Milano. Certo, bene che la struttura sia in gran parte utilizzata (altre sono in disuso da anni) ma non è certo il massimo pensare che il nostro unico possibile futuro sia quello di diventare un grande dormitorio per le sedi milanesi.
Per la comunità comasca è il momento delle grandi domande. È opportuno rilanciare il progetto della città universitaria oppure è meglio puntare su altro? A quali condizioni eventualmente ripartire? Con quali partner? E soprattutto con quali contenuti? Cosa possiamo offrire di specifico per persuadere le grandi università che qui ci sono condizioni operative ideali? Si tratta, evidentemente, di quesiti aperti, utili ad alimentare il confronto. Di certo non partiamo da zero. Nel molto che c’è meritano di essere ricordati la crescita dell’Insubria e lo sviluppo delle altre due realtà universitarie, l’Accademia Galli Ied e il Conservatorio. Qui e solo qui, inoltre, vive la tradizione scientifica del Centro Volta e da alcuni anni, anche se la novità è stata poco avvertita dai cittadini comuni, centinaia di studenti e ricercatori, da tutte le più importanti università del mondo, partecipano ogni estate ai corsi della Lake Como School. Qui è cresciuto il percorso di ComoNext, realtà modello presa come esempio in Italia e all’estero, per avere saputo coniugare impresa e innovazione. Abbiamo buone carte in mano, dobbiamo affrontare nuove sfide senza paura del futuro.
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