Ripresentati quando sarai rientrato nel tunnel», dice il Mascetti (Ugo Tognazzi) al Melandri (Gastone Moschin) che annunciava la volontà di battezzarsi per conquistare le grazie di una pia donna. La scena è una delle tante memorabili di quei due capolavori della commedia all’italiana che sono Amici miei e Amici miei atto II. E anche la storia della Pedemontana sembrava una burla degna del quintetto che comprendeva anche il Perozzi, il Sassaroli e il Necchi, come l’autostrada delle ginestre millantanta per far credere che un paesino sarebbe stato interamente devastato dall’imponente infrastruttura. Invece, incredibile a dirsi, la Pedemontana è tutta vera. Per esserne convinti sul serio, però, ci è voluta la caduta dell’ultimo diaframma di quella galleria che tra non molto collegherà Grandate a Casnate nell’ambito della nuova tangenziale di Como, il braccio locale della grande autostrada Varese-Bergamo.
A pensar male della Pedemontana, o meglio, della reale possibilità di vederla realizzata, non si fa peccato. Però, ed è bello poterlo affermare, non ci si azzecca. Anche se questa autostrada era diventata una sorta di Araba Fenice. Di lei, della sua inderogabile necessità a beneficio dell’economia e del traffico nell’area pedemontana, appunto, si narra da circa otto lustri (se non si è perso il conto). Sul suo progetto, sui suoi mutevoli tracciati, spostati ora più su ora più giù, sui chilometri di parole lanciate da tavoli, convegni e comizi elettorali si sono cimentati generazioni di cronisti. E non è un modo di dire. Chi ne sta scrivendo ora ha potuto leggere articoli sul tema vergati da l nonno.
L’autocitazione rende l’idea. Perché già allora, quelle articolesse trasudavano ottimismo per l’imminente partenza dei lavori che avrebbero dotato le province pedemontane di un’opera moderna ed essenziale. La colpa, ovviamente, non era degli estensori dei pezzi, ma di coloro che con la Pedemontana hanno ciurlato nel manico per quarant’anni, compresi quelli che il tracciato andava bene ma resti lontano dal loro borgo.
Insomma se con il tempo si è costruito tanto scetticismo da poter congiungere non Varese con Bergamo ma addirittura Lisbona con Kiev (ah già, questo è il corridoio 5 dell’alta velocità ferroviaria, un’altra opera che chissà se...), qualche buon motivo c’era. D’accordo, poi finalmente il progetto è stato approvato, i quattrini sono saltati fuori e sono comparse le ruspe. Però, hai visto mai... Anche perché a noi comaschi hanno fatto ballare davanti la carotina ma poi ce ne hanno data solo metà. Il tunnel che dovrebbe farci uscire dal tunnel del traffico che appesta la convalle cittadina, infatti, fa parte del primo e finora unico lotto della tangenziale di Como. Un’autostrada che si fermerà ad Albate e non, come ci era stato promesso, sulla statale Briantea all’altezza di Albese con Cassano. Il secondo pezzo della tangenziale, infatti, non è ancora stato finanziato e il progetto è tornato nei cassetti perché considerato troppo oneroso e casomai sostituito da una fantomatica autostrada Varese-Como-Lecco che rischia di impegnare altre generazioni di cronisti a caccia della nuova Araba Fenice. Perciò neppure il tunnel svelato ieri ci farà uscire dal tunnel. A meno che non ci si dia da fare, a tutti i livelli politici, per venirne fuori in qualche modo e in fretta. Perché comunque aspettiamo da quarant’anni. E finché non partirà il cantiere del secondo lotto non potremo dire come Aldo del trio con Giovanni e Giacomo: «La Pedemontana! Non ci posso credere!»
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