Èun monumento, no, è “il monumento”. La Casa del Fascio che, per importanza storico-artistica sta secondo a pochi (probabilmente nella mente e nel cuore dei comaschi solo a piazza Duomo con la sua cattedrale) il sindaco Mario Lucini lo vuole tutto per la sua città e bussa a Roma con una lettera.
«Dateci la casa del Fascio» scrive ad Enrico Letta e al ministro della cultura. Sì, perché quel monumento che il mondo dell’architettura ci invidia non è “solo” un capolavoro razionalista, ma è da sempre il fulcro della storia contemporanea della città.
Lo progettò l’architetto Giuseppe Terragni nel 1932. Ora nel palazzo c’è la Guardia di Finanza, e menomale. Per fortuna c’è la Finanza, lo dicono da anni in tanti e lo hanno sempre confermato anche il sindaco e l’assessore alla cultura Luigi Cavadini. Non ci fosse stata la Finanza, ci sarebbe probabilmente stato il rischio che la struttura subisse l’incuria, del tempo e degli uomini, come è purtroppo avvenuto per altri monumenti. Detto questo però, Como non può più aspettare, è dal 1945 che cerca di averlo per sè. Quello stabile potrebbe davvero diventare il polmone culturale della città, quello che darebbe respiro alla vita civica comasca.
Cavadini pensa già a trasformare la Casa del Fascio in un centro studi sul razionalismo e in questo modo potrebbe davvero porre un sigillo formale al riconoscimento del ruolo artistico-architettonico di Como nel mondo. L’aver scritto a Letta va proprio in questa direzione, e segue i contatti politici che sarebbero già stati avviati proprio con la presidenza del Consiglio. Di fatto, si tratta del primo atto concreto che i politici comaschi fanno per trasformare uno dei tanti sogni della città in realtà. Certo, una realtà molto impegnativa, perché gestire un palazzo come la Casa del fascio, una volta che dovesse diventare comunale, non sarà uno scherzo nè dal punto di vista gestionale, nè da quello meramente economico. Ma i grandi sogni si portano sempre dietro grandi impegni, grandi responsabilità, grandi difficoltà, alti gradini da salire.
L’importante in questo momento è registrare il fatto che un passo avanti concreto è davvero stato mosso. Il resto verrà, senza facili ottimismi, ma con realismo, verrebbe da dire con razionalità, come “razionali” sono le linee architettoniche
che reggono il progetto dell’edificio.
Centro studi a parte, la Casa del Fascio diventerebbe, nei progetti degli amministratori,anche un polo per l’attrattività turistica internazionale. Perché, ma forse ce lo si dimentica spesso, basta chiedere all’ordine degli architetti per sentirsi rispondere che a vedere la Casa del Fascio, e a studiarla, e a invidiarla, arrivano studiosi da tutto il mondo. Scavando nella memoria recente, è poi impossibile dimenticare alcuni incontri con i guru dell’architettura mondiale, appuntamenti che valsero per il contenuto degli interventi, ovvio, ma che moltiplicarono sicuramente il proprio fascino e la propria potenza espressiva proprio perché organizzati nel tempio del razionalismo.
E poi, c’è il lato storico del ruolo ricoperto dall’edifico, quello legato al regime, alla liberazione, al dopoguerra che lo volle centro di potere e di riscatto storico, ma prima ancora sociale.
Letta risponda, c’è una città che aspetta un suo sì, e che soprattutto aspetta che il potere centrale conceda a quello periferico un gioiello che fa parte della sua storia. Se la Casa del Fascio andrà al Comune sarà una gioia, ma anche una straordinaria sfida non solo da raccogliere, ma da vincere, per la città e per la Cultura.n n
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