Quella accaduta ieri era molto di più di una tragedia annunciata: come dimostra un grafico pubblicato settimana scorsa dal quotidiano inglese Guardian, nel 2015 c’è stato un incremento drammatico dei morti in mare rispetto a chi riesce ad approdare sulle nostre coste. Contro una media di 20/ 25 naufraghi ogni mille degli ultimi anni, nei primi mesi di quest’anno siamo arrivati a 45.
E nel conteggio mancano le centinaia di vittime del naufragio di ieri, il più tragico nella storia di queste migrazioni. Insomma era chiaro, numeri alla mano, che il fenomeno della migrazione attraverso il Mediterraneo stava subendo una drammatica involuzione.
Sulle coste libiche i campi di raccolta sono in mano a 20mila miliziani che estorcono tutto quello che è possibile estorcere ai profughi per poi consegnarli nelle mani degli scafisti che li stipano all’inverosimile su barconi sempre più decrepiti e inaffidabili. Per di più il numero di persone in fuga da situazioni di guerra o di oppressione è cresciuto in modo esponenziale. Verso Tripoli stiano riversandosi migliaia di profughi eritrei, etiopi e somali che il Sudan sta perseguitando e che quindi tentano la fuga verso Nord, sognando l’Europa. A loro si aggiungono poi i profughi siriani, quelli dello Yemen, quelli in fuga dall’Isis e dal suo terrore. «L’onda anomala di un’umanità straziata e straziante è ormai alle porte», aveva denunciato nei giorni scorsi sulla prima pagina del Corriere della Sera un osservatore esperto come Franco Venturini.
Davanti ad uno scenario dai contorni così drammaticamente chiari, si immagina che a Bruxelles o a Roma siano state organizzate delle contromisure. Invece dalle reazioni, tutte rigorosamente indignate, scopriamo che la politica in questi mesi è stata a guardare, palleggiandosi responsabilità e prendendo sempre come alibi la mancanza di una visione comune sul da farsi. In prima istanza c’è una vergognosa indifferenza da parte delle autorità europee, responsabili del fallimento dell’operazione Triton che da novembre scorso ha sostituito Mare Nostrum. È evidente che Triton è uno strumento del tutto inadeguato, pensato più protezione delle frontiere che per la salvaguardia di quelle centinaia di vite umane. «Dire deluso, secondo me, è troppo poco», ha detto Nunzio Galantino, segretario della Cei. «Perché è evidente che qui non si vuole riflettere seriamente sulla situazione. Ho l’impressione veramente che si tratta soltanto di una sorta di modo elegante per lavarsi le mani di fronte a un dramma che diventerà sempre più insopportabile dall’Italia».
E l’Italia? Il governo ha tergiversato sull’emergenza senza prendere nessuna misura preventiva e dimostrandosi debole in Europa. Ha accettato la chiusura di Mare Nostrum e la sua sostituzione con Triton senza valutare le conseguenze, pesantissime in termini di vite umane, ma pesanti anche in termini politici per il nostro Paese. Come un po’ tardivamente ha denunciato il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, «l’Europa è la più grande superpotenza economica del nostro tempo e non è possibile che destini solo 3 milioni di euro al mese all’emergenza».
Non solo: con la leva di Federica Mogherini alla guida della politica estera continentale si poteva pensare a qualche iniziativa politica importante nei confronti della situazione libica, una situazione che, va ricordato, è stata originata dalla sventurata volontà anche di alcune potenze europee. Invece solo oggi per la prima volta il Consiglio dei ministri degli Esteri della UE esaminerà un documento preparato da Mogherini sulla stabilizzazione in Libia. Ma siamo solo ai documenti...
Quanto a Renzi, così abile e deciso a muoversi sulle questioni interne, non ha saputo promuovere nessuna azione incisiva ad esempio sullo scandalo degli scafisti. Il recente provvedimento approvato dal Senato introduce l’arresto in fragranza per i trafficanti di uomini. Davvero troppo poco, rispetto a un fenomeno che gode di una incredibile impunità. Invece occorrono deterrenti molto più efficaci. Occorre inasprire le pene per chi traghetta a pagamento uomini e donne ridotte alla fame, equiparando tale reato al commercio di esseri umani.
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