Un’attesa lunghissima, che ha illuso tanti lavoratori della Sisme e chi era al loro fianco. Perché c’è speranza, quando ci si parla. Quando ci si ascolta.
Dell’estenuante trattativa di venerdì notte è rimasto solo ciò che ha accolto le parti, una volta uscite dagli spazi della Regione: il buio. L’oscurità per 223 persone che attendono una lettera di licenziamento.
Tra di loro, anche lavoratori che in Sisme si sono prodigati 30 anni e più. Altri entrati nell’azienda di Olgiate Comasco in tempi più recenti, comunque con la gioia di cominciare l’avventura in una fabbrica solida, con radici profonde e un futuro davanti. Un mondo nel mondo. Qui, ad esempio, si trovano tanti lavoratori provenienti da nazioni lontane. Perfettamente integrati, come dovrebbero, potrebbero essere altrove.
Adesso, l’avvenire ha un altro, brusco volto: quello di una fabbrica dimezzata. I vertici della Sisme rassicurano: non è preludio a una fuga da Olgiate Comasco, come qualcuno teme. Si vuole restare, investire, si andrà avanti insomma.
Ma ciò non può cancellare il dolore. Non in questo momento in cui la notte avvolge 223 persone, anzi molti di più, perché ieri ancora non si sapeva chi sarebbe uscito.
Una ferita bruciante, quella che colpisce Como, di fronte alla consistenza del numero di licenziati. L’anno scorso il dramma peggiore si era vissuto per Eleca: spaventoso, eppure non arrivava a una quantità simile di lavoratori.
Ma il punto in fondo è questo: non parlano solo le cifre. Bisogna scavare nelle storie. Oltre agli immigrati, modello di integrazione, possiamo anche dire che le famiglie scosse da questa vicenda saranno meno di 223. E non si tratta di una bella notizia.
Il problema è che molte persone dello stesso nucleo familiare lavorano qui. Marito e moglie, padre e figlio, sorelle, gli esempi continuano: è sempre stata una tradizione, come in altre fabbriche lombarde. Entrava il genitore, poi si assumevano volentieri i figli: rappresentavano una garanzia, si conosceva la loro affidabilità. E si sviluppava un legame più forte con l’azienda.
Oggi questo fenomeno si è affievolito, dappertutto, specchio dei tempi. Ma la Sisme era ancora questo per il territorio. Un riferimento, un faro a cui guardare, anche se già i numeri si erano ridotti via via.
Ma i numeri raccontano appunto poco. Proprio ieri i sindacati durante il presidio sottolineavano quanti lavoratori avessero perso il lavoro in silenzio, senza finire sui giornali. Minuscole imprese morte senza clamore. Non sono stati citati per dividere, bensì per unire.
«Dobbiamo combattere insieme» è stato detto. Piccoli e grandi, feriti e in buona salute: questa notte ha lasciato intravedere qualche segnale di alba negli ultimi mesi a Como, ma il buio di fronte a un dramma come quello della Sisme appare ancora così compatto da spaventare. Si può uscire dalla notte, solo se questa e altre ferite diventano di tutti. Se ciascuno se ne prende carico, fermandosi ad ascoltare e mettendo a fuoco formule antiche e nuove.
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