A trentanove anni, ancora troppo giovane per essere eletto senatore, Matteo Renzi per la prima volta nella sua vita è entrato nell’aula di Palazzo Madama, e lo ha fatto da presidente del Consiglio. Trovandosi a presentare il suo governo –un governo nato da una crisi totalmente extraparlamentare – Renzi non ha mostrato alcuna timidezza nei confronti di un’aula dove certo non brilla la simpatia per lui.
Anzi, con quel carattere garibaldino che lo contraddistingue, l’ex sindaco di Firenze ha giocato con l’aula, provocando o scontrandosi, parlando a braccio, mettendo le mani in tasca, uscendo del tutto dal rituale dei discorsi programmatici con cui per settant’anni presidenti del Consiglio hanno chiesto la fiducia alle Camere. Un discorso che è stato da leader, da segretario del PD, da sindaco d’Italia, soprattutto da protagonista di un movimento che punta a rivoluzionare la politica italiana. Tanto è vero che non ha avuto esitazione a dire ai senatori: “Spero che questa sia l’ultima volta che voi votate la fiducia al governo”, avendo tra i primi punti del suo programma la rottamazione del Senato, o meglio la sua riduzione a camera delle autonomie, priva di un vero peso politico.
Bisogna riconoscere che c’è dell’energia in tutto ciò, in questa volontà di cambiare, di trasformare, ed è giusto apprezzare il tentativo di riportare le istituzioni allo stesso livello del popolo elettore in nome del quale esercitano il potere, di riannodare un rapporto ormai sfilacciato. Perché non sperare in questa voglia di cambiamento, nel desiderio di un rinnovamento della vita pubblica nazionale?
C’è tuttavia un “però” in questo apprezzamento. E il però riguarda le indicazioni programmatiche che Renzi ha dato nel suo discorso e che sono apparse non ben strutturate, o quantomeno specificate in maniera non sufficiente; sarebbe stato bene inoltrarsi un po’ di più nel merito delle questioni. La politica estera e la politica comunitaria, tanto per fare un esempio clamoroso, sono state trattate con delle pennellate e delle suggestioni che poco hanno soddisfatto le tante domande che si pongono al nostro Paese in un momento difficile della comunità internazionale e continentale. Non abbiamo ascoltato intenzioni precise su quale rapporto vuol intavolare il nuovo governo con le autorità di Bruxelles e di Francoforte per propiziare una nuova politica economica che non sia solo basata sull’austerità ma anche sulla crescita e la lotta alla disoccupazione.
E’ vero che Renzi si è premurato di prendere degli impegni molto precisi per esempio sul pagamento dei debiti della Pubblica Amministrazione o su alcune misure a favore delle piccole e medie imprese, e ha parlato di una riduzione consistente del cuneo fiscale, ma è sembrato che queste singole misure non rientrassero in un disegno più complessivo di politica economica, finanziaria, industriale, fiscale.
Insomma, c’è del buono in quello che abbiamo ascoltato ma ci sono anche degli spazi vuoti che presto andranno riempiti. C’è da augurarsi che la giovane età dei protagonisti di questo governo porti una ventata di vitalità in un Paese troppo rassegnato e avvilito. Purché non sia solo una ventata, naturalmente.
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