Facciamo un passo indietro. Il viale Innocenzo XI è la prova evidente dell’esistenza in città di una classe dirigente lungimirante, all’epoca in cui è stato costruito. La copertura del Cosia ha consentito la realizzazione di tutta una serie di infrastrutture industriali e di attività pubbliche, anche di tipo scolastico.
Ed il viale Innocenzo, ancora oggi chiamato familiarmente “la tangenziale” dai comaschi, è anche il principale asse di collegamento della convalle da nord a sud.
La sua ideale prosecuzione doveva essere la variante di Borgovico. Non se n’è fatto nulla nonostante la
demolizione del monastero di Santa Teresa. Una delle tante occasioni perdute di cui è costellata la storia cittadina.
Bene, ciò che lascia sorpresi, oggi voltando lo sguardo al passato, è il ritardo con cui sono stati affrontati i problemi generali della mobilità e dei trasporti negli ultimi trent’anni. La rete delle infrastrutture ferroviarie che ponevano Como all’avanguardia è rimasta quella della fine dell’Ottocento (nel frattempo è stato eliminato anche lo scalo merci lacuale).
Ogni volta che si è affrontata la costruzione di un autosilo in città si sono scatenate le proteste degli ambientalisti. È stato così per quello dell’Ippocastano e per quello dell’area dell’ex zoo (l’uno tramontato con tanti saluti a uno storico contributo europeo, l’altro realizzato sia pure dopo mille traversie).
Se si guarda alla capacità decisionale che ebbe l’amministrazione cittadina dopo la seconda guerra mondiale c’è da rimanere stupefatti. Un solo esempio: in pochi anni si decise di far passare l’autostrada da Monte Olimpino, questa sì una grande opera che ha cambiato volto alla città.
Nella zona della stazione ferroviaria, costruita sul luogo dell’antico monastero dei Domenicani, la realizzazione di una serie di infrastrutture diventa strategica, anche per lo sviluppo del turismo e del polo universitario.
E qui diventa fondamentale il discorso relativo alle aree dismesse. Si tratta spesso di monumenti dell’archeologia industriale, anche di notevole qualità. Ce ne sono invece altre che ormai sono preda dei rovi e dei topi. Questo è anche il caso dell’area ex Danzas: un polo che era legato in passato allo sviluppo delle funzioni industriali e commerciali della città.
Con il mutamento degli scenari dei trasporti e della mobilità il riutilizzo di spazi di città è il coronamento del ragionamento sul futuro urbano. È un po’ quello che si fece negli anni Trenta per disegnare lo sviluppo della città a lago, con la realizzazione della cittadella dello sport, a cui dettero l’impulso la costruzione dello stadio e della piscina Sinigaglia, della Canottieri Lario e dello Yacht Club.
La presenza di aree dismesse in città può trasformarsi in occasione per un rilancio dell’economia: occorre pensare a forme di collaborazione tra pubblico e privato, anche per potenziare la fruibilità della città in termini di parcheggi. O di altri servizi di cui c’è grande necessità come gli impianti sportivi.
La strada che intende aprire su questo fronte l’assessore Lorenzo Spallino è innovativa, l’unica forse capace di sbloccare interventi che altrimenti, in questo contesto economico, non sarebbero possibili. Su questo si misura una classe dirigente in grado di mettere in cantiere opere concretamente realizzabili, che non rimangano lettera morta sulla carta.
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