La finanza pubblica italiana ha bisogno non dei 4-5 miliardi attorno ai quali si affannano partiti e cabine di regia, ma di una quantità almeno 100 volte maggiore. È bene sapere che i 2 miliardi da trovare per l’Imu sono solo un’illusione ottica.
Da settimane si stanno cercando nei cassetti del Ministero di Saccomanni – senza trovarli - i soldi che servono per le cose urgenti che, a rigor di logica, dovrebbero essere cassa integrazione in deroga (problema sociale drammatico, solo parzialmente risolto), contenimento dell’Iva (effetto sui consumi) e infine, molto infine, Imu. Figuriamoci trovarne centinaia! Dunque, onore al merito, del Pdl che ha infranto il muro del silenzio sul debito, essendo quest’ultimo, non l’Imu, il nostro problema; oggi ha superato i 2000 miliardi, e gli interessi al suo servizio, spread alto o basso che sia, sfiorano gli 85 miliardi/anno. Una massa enorme di risorse sottratte agli investimenti, al lavoro, allo sviluppo, al sociale, che oltretutto, per almeno un terzo, prendono la strada dell’estero.
Per almeno dimezzare questo fardello, ci siamo impegnati (governi Berlusconi e Monti) a destinare obbligatoriamente dai 40 ai 50 miliardi all’anno per vent’anni. A partire dal 2015, che sembra lontano ed è domani mattina.
La somma degli interessi annuali più l’obbligo del fiscal compact, fanno 120-130 miliardi da garantire ogni 1° gennaio fino al 2035. E questo, senza aver ancora fatto null’altro di qualificante: ad esempio (lo consideriamo al primo posto) mettere in tasca ai lavoratori un pezzo di cuneo fiscale: servono almeno 10 miliardi anno, perché i consumi ripartano.
Un incubo, se pensiamo che per reperire le risorse che coprono solo tre mesi di rinvio dell’aumento dell’Iva, si è arrivati a inventare “acconti” che valgono il 10% in più del totale dovuto!
Ecco dunque perché va apprezzata dopo vent’anni di distrazione la scoperta liberale, dell’iniziativa Pdl, che mette tutti di fronte al vero problema: una manovra choc che valga almeno 400 miliardi. L’economista Paolo Savona ne vorrebbe molti di più e suggerisce tecnicalità più efficaci, ma l’idea non è diversa. Nella proposta Brunetta, 100 dovrebbero venire dalla vendita diretta di beni pubblici. Altri 40-50 dal monetizzazione delle concessioni demaniali, altri 30 dal mitico accordo con la Svizzera. Siamo a circa metà della cifra ipotizzata. Il resto dovrebbe scaturire dalla messa sul mercato di una nuova società privata (capitali di banche, assicurazioni, fondazioni) che emetterebbe obbligazioni a lungo termine garantite dai beni mobili e immobili pubblici preventivamente individuati, inscatolati e ceduti. Lo Stato sgraverebbe il debito di 400 miliardi, e già scendendo a “solo” 1600, si avvierebbe un ciclo virtuoso.
Il progetto, anche al netto del sogno svizzero, è difficile da realizzare tecnicamente e politicamente, ma l’alternativa non è quella di Vincenzo Visco, che preferirebbe il ricorso agli avanzi primari. Perché comunque un bicchiere non svuota il mare. Certo che occorreranno gli avanzi di bilancio, certo che si dovrà fare una dura e drastica riduzione della spesa lavorando su 200 degli 800 miliardi attuali, ma senza un intervento-choc l’Italia non esce dalla spirale della crisi. Meglio uno choc guidato che uno subìto.
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