Ci sono imprese che già a prima vista appaiono disperate e chi le giudica con occhio freddo e distaccato conclude che non vale neppure la pena tentarle, tanto si è sicuri dell’esito sfavorevole. Una di queste imprese era il salvataggio dell’ospedale Valduce, fondato nel 1853 da madre Giovannina Franchi, che tra pochi mesi sarà proclamata beata.
Dopo 160 anni l’opera di carità e di assistenza ai malati sembrava avviata alla chiusura. Oggi, invece, in cronaca scriviamo che il Valduce non chiude, anzi ha ampliato il pronto soccorso per dare un servizio migliore ai comaschi. Perché il Valduce è da sempre l’ospedale della città di Como. Dopo un anno di gestione della “procuratrice speciale” Mariella Enoc si può dire che, a fronte di significativi sacrifici da parte di tutti, il Valduce è stato messo in sicurezza senza rinunciare ad alcun posto di lavoro e senza ridurre in modo percettibile la quantità e la qualità dei servizi. Non era scontato. E il cammino per il risanamento finanziario è ancora lungo. Quello che i comaschi possono già vedere è che l’ospedale della città non ha chiuso come è successo, purtroppo, ad altre realtà analoghe. Non è stato venduto come, invece, è capitato al San Raffaele di Milano con tutte le conseguenze pesanti che si sono viste dopo.
Il Valduce continua la sua opera, certo non perfetta e soggetta alle critiche come tutte le azioni umane. Ma c’è. È lì. A garanzia dei comaschi che gli hanno sempre voluto bene, che hanno sempre guardato con simpatia e riconoscenza alle suore della Congregazione infermiere dell’Addolorata.
E oggi vengono ricambiati perché il Valduce potenzia il pronto soccorso, aumenta i posti per le urgenze, crea uno sportello per le informazioni dei parenti in attesa e comprensibilmente ansiosi. La notizia dell’ampliamento del pronto soccorso può apparire secondaria . Una cosa da poco, non così degna d’attenzione. Invece è di grande importanza: fa capire la volontà , anzi la buona volontà, di chi ha oggi in mano le redini del Valduce
Gli esperti di gestione della sanità, infatti, dati alla mano, dicono che i pronto soccorso degli ospedali - di tutti gli ospedali - sono un costo. Rappresentano una perdita secca. In un’opera di risanamento finanziario, dunque, la conclusione più logica e naturale che ci si sarebbe aspettati sarebbe stata la chiusura di questo servizio al Valduce, non il suo ampliamento e potenziamento. Una scelta controcorrente. Sottolinea la volontà del Valduce di voler rimanere legato alla città e ai comaschi, offrendo loro un servizio che per le casse dell’ospedale costituisce una perdita economica ma che per i cittadini è una garanzia e una sicurezza, soprattutto nel momento del bisogno. E soprattutto ora che il Sant’Anna è più lontano. Ricordiamolo: senza quello del Valduce non ci sarebbe nessun pronto soccorso in città.
Nel salvare i suoi bilanci il Valduce cerca di non dimenticare le sue origini di ospedale nato per dare la prima forma di carità che è la cura dei malati, rivolta ai più poveri e ai più deboli. È emblematico in questo senso l’annuncio dell’apertura di un ambulatorio per i poveri e i bisognosi: si guarda al futuro del Valduce riallacciandolo alle sue radici.
Quando Giovannina Franchi e le sue consorelle hanno iniziato la loro opera nel 1853 non pensavano certo ai bilanci. Oggi invece è necessario farlo. Tanto più per un ospedale religioso che vuole avere un futuro. Se, nonostante l’attenzione al conto economico, il Valduce non chiude ma potenzia il Pronto soccorso e apre l’ambulatorio per i poveri ,dimostra che, anche in tempi di “spending review”, dietro le grandi azioni umane ci sono sempre le “ragioni del cuore” che, parafrasando Pascal, “il portafoglio non conosce”.
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