Via i soldi ai partiti
Un primo passo

Il governo ha battuto un colpo. Mentre il movimento detto “dei forconi” scorrazza per l’Italia bloccando piazze e ferrovie e pensa di scendere a Roma per dare un colpo alla “Casta”, Enrico Letta ha deciso di bruciare i tempi e varare il decreto che abolisce il finanziamento pubblico dei partiti.

In realtà, si trattava di un impegno preso mesi orsono, quando già si capiva che in Parlamento i partiti facevano melina su questa legge tanto invocata nelle piazze e sui social network.

In quell’occasione Letta disse che, o i partiti si muovevano o il governo avrebbe
agito in surroga mediante un decreto. Ebbene, lo ha fatto: il decreto varato dal Consiglio dei ministri di ieri mattina riprende pari pari il testo già approvato dalla Camera ma incagliato al Senato e aggiunge semmai alcuni elementi migliorativi. Naturalmente è un’abolizione graduale del finanziamento che prevede un diminuzione parziale ma costante da adesso sino al 2017 e successivamente la trasformazione dell’intervento statale in rimborsi. Che tuttavia, nelle intenzioni, non dovrebbero più costituire la gran parte del sostegno ai partiti, giacché questa dovrebbe provenire da un atto di libera scelta dei cittadini elettori, messi in condizione di devolvere – se lo vogliono - il 2 per mille delle loro tasse proprio alle forze politiche. Se non vogliono i soldi – il cosiddetto inoptato - vanno allo Stato. Inoltre chi vuole può fare delle donazioni pubbliche entro certi limiti e ricavandone un certo vantaggio fiscale.

A chi possono andare questi fondi? Ai partiti che diano alcune garanzie precisate dalla legge, in primo luogo quella della democrazia interna, come del resto avviene in tutto il mondo occidentale. Questa parte del decreto esclude il Movimento Cinque Stelle che non ha veri organismi democratici interni ed ammette soltanto un generico controllo da parte della “Rete” mentre è nella realtà sottoposto ad un controllo ferreo, anche in termini legali, da parte del duo Grillo-Casaleggio, da nessuno eletto. Forse è anche per questo che la reazione del comico genovese è stata tanto dura. Quello che semmai appare piuttosto preoccupante è il fatto che d’ora in poi i partiti dovranno dedicarsi stabilmente al fund-raising, cioè alla raccolta dei fondi, una pratica assolutamente normale nei paesi anglosassoni ma che da noi, conoscendo usi e costumi della classe politica, potrebbe dar luogo a non poche distorsioni. Qualcuno dirà: meglio così che dare soldi pubblici; e qualcun altro insisterà: meglio così che le mazzette sottobanco. Tutte ragioni che hanno un loro fondamento: anche in questo caso dobbiamo però aspettare per capire come questa norma si applicherà e quali conseguenze avrà sul nostro costume politico.

Altri si interrogheranno sul perché Letta abbia preso così in fretta questa iniziativa, se lo abbia fatto per soffiare l’iniziativa a Matteo Renzi o proprio per obbedire al neo segretario del suo partito. Francamente, pensiamo che ai cittadini di questo poco importi, ciò che conta è capire: primo, se ci sarà un’effettiva riduzione dei costi della politica; secondo, se la legge contribuirà davvero alla moralizzazione della nostra screditata classe politica.

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