Vince il popolo
ma perde la ragione

Not in my house”, cioè “Non a casa mia”. La scritta è su una maglietta e la pronunciano in America i giocatori di basket prima di una partita. Con quattro parole avvertono l’avversario: non a casa mia. Cioè, stai attento, qui non vincerai, qui comando io. L’avranno indossata ieri andando alle urne in Svizzera?

Sì perché gli svizzeri, e i ticinesi in particolare, hanno detto agli stranieri: a casa mia ci entrate solo, come, e se lo dico io. Il popolo al referendum dell’Udc contro “l’immigrazione di massa” ha votato per il 50,3% sì dicendo no all’ingresso libero dei non elvetici. Registrato il dato di cronaca, poco più della metà dei ticinesi votanti (68,2% nel Cantone e l’80% a Lugano) vuole regolare l’ingresso degli stranieri in Svizzera, bisogna soffermarsi su qualche particolare. Sulla parola “popolo” e sul verbo “decidere”. «Il popolo ha deciso» hanno detto i politici dando conto del risultato. Quando mai in Italia si è sentita questa frase? E quando anche la si fosse, per sbaglio, ascoltata sarà subito stata seguita da «ma noi politici facciamo come vogliamo». Sì perché è il concetto di popolo a farci diversi dagli svizzeri. Sarà anche un voto di pancia, di emozione, di esasperazione nata da anni in cui gli svizzeri hanno visto i nostri frontalieri accettare stipendi, per loro, da fame, ma è un voto di popolo. Di gente, che si sente di appartenere a una realtà che vuol difendere e che sa che i politici rispetteranno il patto: ti chiedo come la pensi e poi rispetto il tuo parere. In Italia ci viene chiesto come la pensiamo e poi, quasi sempre, ci viene detto «ok, ma mi dispiace non si può fare come vuoi tu». Siamo un altro popolo.

Stante che il popolo svizzero ha deciso, lo stupore resta. Ammesso che c’è un po’ di invidia (in Svizzera il popolo lo ascoltano, in Italia fanno finta di non sentirlo) suona strano che mentre siamo qui tutti, svizzeri compresi, a dire che ormai siamo cittadini del mondo, che se vuoi crescere devi andare a conoscere cosa c’è fuori da casa tua, siamo subito pronti a dire «ok, but not in my house». Io sono libero di andare, cittadino del mondo, ma tu non sei libero di venire a casa mia.

Caro straniero (perché il referendum riguarda non solo i lavoratori stranieri, ma anche i domiciliati e i richiedenti asilo) sii educato, bussa. Io guardo dallo spioncino, se voglio ti faccio entrare, se no ti lascio fuori. Non fa una grinza, è questione di educazione. Del resto, sono cent’anni che tra svizzeri e italiani si lotta. Ma sono anche cent’anni che svizzeri e italiani si odiano e si cercano, per forza o per amore (forse più per forza), ma si cercano e si invidiano per motivi diversi. Ecco allora il secondo livello della sorpresa. Perché gli svizzeri vogliono dosare gli stranieri proprio ora che c’è in corso la discussione degli accordi bilaterali con il Ticino e che l’Europa ha sul suo tavolo gli accordi per aprire la Svizzera ai cittadini europei? Gli svizzeri sono precisi, possibile che i politici e la componente economica faccia x e il popolo voglia y? Strano, strano, ma vero.

Chi in Svizzera ne sa di economia giudica questo risultato improvvido; non conviene per tanti motivi mandar via gli stranieri (le conseguenze si vedrebbero in tre anni e una sarebbe che, lasciato a casa un italiano che all’imprenditore costa meno, per la nuova assunzione si privilegerà lo svizzero). Ma «il popolo ha deciso». Prima l’appartenenza, poi i soldi. Lo dicevano anche i boxer cinesi nella loro rivoluzione xenofoba di fine Ottocento... non finì benissimo per loro. Chiudersi non fa mai bene, nemmeno al pensiero. Può sembrare bello far tutto da soli, ma alla fine non funziona, ci si annoda i pensieri. Lo dice anche Frank Zappa: «La mente è come un paracadute: funziona solo quando è aperta».

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