Addio a Carla Mazzotti, madre della prima vittima di sequestri nel nord Italia: «La morte e il rapimento di Cristina sono un dolore senza fine»

Eupilio Aveva 97 anni, era la mamma della ragazza rapita nel 1975 a soli 18 anni e poi lasciata morire. Agli amici diceva: «Ho reagito con forza e coraggio»

Se n’è quietamente andata abbandonando la sua lunga vita Carla Antonia Airoldi Mazzotti: ieri verso sera in una clinica di Milano. Accanto c’erano i figli Vittorio e Marina. Avrebbe compiuto 98 anni a settembre e la sua è stata un’esistenza costellata di momenti felici, poi da grandi dolori.

La banda crudele di sequestratori

Era la mamma di Cristina, la ragazza di diciotto anni che fu sequestrata nell’estate del 1975 e lasciata atrocemente morire nell’indifferenza della crudele banda di sequestratori, un po’ calabresi, altri lombardi: una storia che scosse il mondo e che ancora è messaggera di emozioni dolorose e sdegno. Solo qualche mese dopo morì improvvisamente il marito Elios, certamente distrutto per la terribile perdita della figlia. In poco tempo perse poi i genitori: papà Alberto, personaggio assai noto, la mamma Maria, e le sorelle, il fratello.

Gli anni felici di Carla furono quelli della giovinezza prima della guerra, poi giovane mamma, con il marito che aveva sposato un mattino di grande festa ad Erba Alta, dove era la dimora paterna. Fu condotta all’altare nella vicina chiesa di Santa Marta dal padre percorrendo tutta la Contrada di San Bernardino tra la gente che applaudiva alle finestre e in strada . La sua passione era la pittura. Ricordava che aveva cominciato a dipingere fin da piccola. Con il marito andò in giro per il mondo: in Argentina dove il consorte aveva la base della sua attività di importatore di granaglie nel mercato italiano.

L’avventura più bella, in quei tempi assai originale e rara, fu ad Haiti e in altre isole dell’oceano Pacifico. Ritrasse molto quei “paradisi” firmando sempre con lo pseudonimo “Carlantoni”: anni felici, sorridenti, spumeggianti. Carla visse con serenità anche i momenti difficili della guerra, dell’epilogo quando il padre podestà fu imprigionato. Poi però tornò il sereno.

La tragedia del rapimento e della morte di Cristina: «La vita va vissuta»

Ascolta "Il sequestro di Cristina Mazzotti - Trailer" su Spreaker.La storia di Cristina Mazzotti e del suo sequestro, il primo eseguito dalla ’ndrangheta nel nord Italia, sarà raccontata nella terza stagione di Anime Nere, in onda dal 12 luglio sul nostro sito e sui principali canali di streaming.

La tragedia si abbatté di colpo quell’estate del ’75: Cristina rapita, poi la notizia della morte. La madre sopportò con grande coraggio “quei giorni”, con forza d’animo ma pure con pacatezza. Avvicinata dai giornalisti non accettò mai di concedere interviste ufficiali. Solo qualche ricordo, appena sussurrato, di “quei brutti giorni”.

Fui fortunato incontrandola una volta nella sua villa a Galliano per raccontare della sua pittura. Fu però anche l’occasione per ricordare Cristina con il garbo e la delicatezza dovuta: «E’ ancora più che mai un dolore immenso – mi raccontò con un sorriso lieve, pieno di tristezza- . Ogni momento penso a Cristina. Ho però con me una grande famiglia che mi sta vicino, mio figlio Vittorio che tutti chiamiamo Toto che dà una grande importanza alle adunate di famiglia, poi mia figlia Marina e cinque nipoti, tre del Toto e due di Marina. Siamo tutti molti uniti. Mi è piaciuto una volta sentire mio figlio dire che i suoi migliori amici erano i cugini. Quindi nella nostre famiglie c’è questo senso dell’unione».

Fu bello, quel giorno, osservare la sua dolce serenità, la sua voglia di vivere, nonostante tanto dolore. Da dove veniva questa grande forza? «Dicono che sono forte. Certamente sono una combattente. “Ma che carattere ti è venuto”, mi dice sempre mia figlia. Poi penso che uno che piange sempre rompe le scatole ai parenti, ai nipoti. E non mi piace sentirmi vittima. Ho reagito, con coraggio certamente e forse anche con un po’ di incoscienza. Ho avuto momenti terribilmente difficili, dolorosi. Il dolore per Cristina che me l’hanno portata via è forte. Non si può raccontarlo. E non lo racconto. Una volta mi hanno chiamato i carabinieri per chiedermi se, magari, intendevo perdonare, mi pare le donne, la carceriere di Cristina. Non le ho perdonate. Penso però che la vita vada vissuta, anche per ricordare quelli che ai quali hai voluto tanto bene. E poi ho la pittura che mi aiuta moltissimo. Mi dedico anima e corpo. Non sarò Leonardo, ma per me va bene così».

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