Canzo, in 200 per il pacifista Locatelli
Ucciso da un cecchino a Sarajevo
Al parco Barni il ricordo di chi c’era e la musica dei Sulutumana
Ogni anno ad ottobre si ricorda Moreno Gabriele Locatelli, ogni anno qualcuno del gruppo pacifista di cui faceva parte arriva a Canzo per incontrare la famiglia e recarsi al cimitero per un saluto sulla tomba del pacifista ucciso a 34 anni da un cecchino a Sarajevo il 3 ottobre 1993, nel pieno dell’assedio della guerra di Bosnia.
Ogni anno si ricorda l’azione organizzata per portare la pace con un gesto semplice, simbolico e quasi gentile come attraversare il ponte Vrbanja sul torrente Miljacka a Sarajevo per chiedere un cessate le armi alle due fazioni in lotta. «Quel grido deve continuare a risuonare», ha chiesto domenica 18 ottobre Marco Ametrano, l’organizzatore della manifestazione pacifica.
In 200 e forse più si sono ritrovati domenica 18 ottobre per ricordare Locatelli nell’evento organizzato dall’Associazione Umanamente e dai Sulutumana, gruppo canzese che ha dedicato una bella canzona a Moreno “Di pace e di pane”. Luigi Ceccato ha ricordato quell’ottobre: «Ero sul ponte quel giorno, nessuno può parlare per chi è morto, interpretare il suo pensiero. Moreno a modo suo percorreva labirinti non per raggiungere l’uscita ma per raccogliere chi non ha la forza di andare avanti. Siamo stati criminalizzati per quello che abbiamo fatto, abbiamo cercato di andare al di là della nostra misura. Sapevamo che quello che avremmo fatto non avrebbe avuto efficacia immediata, ma volevamo fare tutto il possibile».
Luca Berti ha ricordato di avere scambiato con Moreno la posizione sul ponte, in accordo con lui e di averlo visto purtroppo morire: «Con Moreno ho condiviso un pezzo importante della mia vita, anche il suo ultimo momento. Moreno stava seguendo a Sarajevo un progetto per aiutare i rom, gli zingari, ancora più in difficoltà in quella condizione di guerra. Eravamo i primi a passare su quel ponte dopo una coppia di innamorati che era stata uccisa. Sapevamo anche che poteva essere minato. Prima un colpo in aria, poi alcuni sopra le teste e tra di noi. A quel punto siamo tornati indietro, ma una raffica ha colpito Moreno». Marco Ametrano ha organizzato l’atto dimostrativo: «Dopo quanto accaduto siamo stati abbandonati da tutti. Abbiamo tentato di fermare qualcosa che non si riusciva a fermare. Dopo quanto accaduto non abbiamo neppure avuto la possibilità di incontrarci tra di noi, di rielaborare assieme il trauma. I giudizi senza conoscere, senza sapere, mi fanno male e farebbero male anche a Moreno. Quel grido deve continuare a risuonare».
(Giovanni Cristiani)
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