Finti panettoni artigianali
A processo una donna di Merone
È la legale rappresentante dello stabilimento di Malgrate dove gli involucri dei dolci industriali venivano sostituiti
È’ finita in aula per una fornitura di 168 panettoni di una nota marca di produzione industriale che erano stati tolti dalla loro confezione e successivamente rimessi nel cellophane con una diversa etichetta, ad attestarne l’artigianalità.
Una donna di 55 anni residente a Merone, risulta legale rappresentante della Vaar Srl, con punti vendita tra Lecco e Dolzago e stabilimento a Malgrate, quello stabilimento in cui, il 6 dicembre del 2018, avevano effettuato un sopralluogo i carabinieri del Nucleo antisofisticazioni di Brescia, sul territorio per controlli antifrode. Ma quanto sappia davvero degli affari dell’azienda, è quello che il giudice del Tribunale di Lecco Nora Lisa Passoni, avanti alla quale si è incardinato il procedimento penale per l’ipotesi di reato di frode in commercio, vuole appurare.
Tant’è che ieri nel primo pomeriggio ha rinviato il processo all’udienza del prossimo 16 giugno: per ascoltare la testimonianza del dipendente che, il 6 dicembre di tre anni fa, venne sorpreso dai Nas mentre effettuava le operazioni di “cambio di vestito” dei panettoni.
E di quello che è stato definito come direttore della produzione, i, noto per i punti vendita di pane e dolci. Ma sul cui ruolo all’interno dell’azienda sono emersi punti interrogativi, al punto da spingere il giudice a riservarsi una decisione sulla modalità con la quale ascoltarlo in aula: se come testimone “semplice” oppure “assistito”, ossia alla presenza di un legale.
Dall’esame dell’imputata, ieri mattina, è infatti emerso come la donna poco sappia dell’effettivo andamento degli affari dell’azienda, nonché della sua stessa composizione societaria, e in realtà lavori part-time in un bar-pasticceria di Erba. «Ma i 700 euro di stipendio non mi bastavano, così mi ero rivolta al signor Vaccani, in quanto avevo lavorato per sua madre a Oggiono – ha raccontato, difesa dall’avvocato Francesca Dall’Osso -. Mi ha detto che purtroppo non aveva un posto da impiegata, ma era libero quello di amministratore, così ho accettato».
Incalzata dalle domande del giudice Passoni, l’imputata ha ammesso di ricevere un appannaggio economico di 500 euro al mese «ma in azienda vado solo quando c’è bisogno». Alla domanda precisa se sia lei il capo della società, la donna ha risposto negativamente.
Antonella Crippa
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