Fuga di cervelli comaschi
"Da noi la ricerca non paga"

Dopo il dottorato di ricerca al Politecnico vanno all'estero: "Stipendi tripli. Mentre qui otto anni di università non vengono considerati"

All’estero in cerca di lavoro. Accade a molti studenti del polo comasco del Politecnico che, terminati gli studi, trovano migliori opportunità di lavoro in paesi stranieri, dalla vicina Svizzera fino ad oltreoceano.
E non è solo colpa del minore sviluppo tecnologico e della scarsa propensione, tutta italiana, a investire nella ricerca ma anche a un’altra tendenza, anch’essa "made in Italy", a valorizzare poco le eccellenze scolastiche a livello professionale. Un problema che si fa sentire soprattutto nel dottorato, titolo di ricerca scientifica avanzata, che si consegue dopo un percorso universitario di otto anni. «Troppo spesso - dice Fabio Salice, docente di Ingegneria Informatica responsabile per l’orientamento - le aziende tendono ad assumere un dottorando con il minimo stipendio possibile, come un laureato qualsiasi. Una situazione che rende l’opzione estero molto allettante: illuminante il caso di un mio ex studente che, subito dopo il dottorato, è stato contattato da una multinazionale con sede a Chicago che gli ha offerto il corrispettivo di 80 mila euro annui, il triplo delle migliori offerte di casa nostra».
Gli stipendi di chi ha terminato il dottorato (in italiano bisogna usare una perifrasi in quanto il termine “dottore”, a differenza delle altre lingue, si riferisce a tutti i laureati) infatti in Italia stentano a superare i 2000 euro al mese. Ma il problema principale è che il dottorato spesso non è nemmeno conosciuto dalle aziende italiane. «Finito il dottorato - dice Laura Frigerio, ex studentessa del Politecnico - in più di dieci colloqui di lavoro non ho mai visto un reale apprezzamento per il mio titolo di studio. Anzi in certi casi ho anche dovuto spiegare come mai, a 28 anni, non avessi ancora alcuna esperienza lavorativa, un fatto davvero frustrante per chi come me ha fatto tre anni di ricerca remunerata».
E nel resto d’Italia non va meglio: «Quando ho cercato - prosegue Frigerio - offerte di lavoro sul sito Monster quelle per cui era richiesto il dottorato erano appena due. Delusa da queste aspettative ho cercato in Svizzera dove, al contrario, ho trovato subito un posto di lavoro adeguato alle mie esigenze: solo all’estero questo titolo gode della giusta reputazione».
Una situazione che spinge studenti come Andrea Tagliasacchi, 26 anni, a scegliere di fare un dottorato all’estero: «In Canada - dice - ho molta libertà di fare ricerca e le università hanno molte connessioni con le aziende. In Italia non credo di tornare perché c’è troppo poco rispetto per la ricerca, finanziata in modo inadeguato: non sopporterei di lavorare con uno stipendio inferiore a quello di un idraulico». Ma c’è anche chi, dopo un periodo all’estero, preferisce tornare in Italia: «Dopo una laurea specialistica fra Parigi e San Diego - dice Luca Amati - avevo voglia di tornare a casa e, valutate tutte le opportunità, ho preferito tornare al Politecnico. In futuro però, dopo il dottorato, potrei decidere di andare all’estero a lavorare».
Matteo Borghi

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