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Sabato 16 Gennaio 2010
Acqua, fogne e lago
Gli 11mila che ancora inquinano
Acqua, una corsa ad ostacoli tra questioni politiche e ritardi strutturali. Perfino i tombini: non ce n’è uno che non sia intasato e certo è una piccola cosa a confronto dei problemi idrici da 750 milioni di euro che riguardano il territorio comasco
È la fotografia della nostra provincia a un anno esatto dalle nuove norme del piano regionale di risanamento delle acque che impongono limiti più restrittivi agli scarichi in uscita dai depuratori verso bacini e corsi d’acqua. Ma ormai vent’anni fa, l’Unione Europea ha prescritto di non inquinare più le acque e quindi di dotarsi di depuratori a norma: chi non è a norma sarà soggetto a “procedura d’infrazione”, ovvero a sanzioni.
Ma il piano provinciale per l’acqua potabile dalla sorgente alle case, per la fognatura e per la depurazione è un “oggetto misterioso”: dovrebbe essere l’autorità dell’ambito territoriale omogeneo, Ato, a formularlo, chiamandolo piano d’ambito e già due anni fa, il Comitato nazionale per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche (Coviri) aveva presentato alla Camera una relazione nella quale spiccava che il piano d’ambito provinciale comasco “è in corso”, mentre altre otto province lo avevano già approvati, cioè avevano già programmato gli investimenti, gli indirizzi, le attività e i modi d’operare, avevano stabilito le tariffe correlate ai costi e la sostenibilità sociale. In provincia di Como, sarebbero dovute arrivare, in dieci anni, a 1,04 euro il metro cubo, tariffa unificata provinciale e già lo stesso Coviri si soffermava sulla “giungla” delle tariffe e dei gestori, in provincia di Como. Ad ogni modo, neppure il Coviri riuscì ad individuare chi stava facendo il piano d’ambito comasco. Solo molto tempo dopo, si scoprì che lo stava facendo la Regione, in quanto l’Ato di Como era considerato “pilota”, tanto pilota che il piano a tutto ieri non c’era.
Nel frattempo, è stata fatta la ricognizione dello stato di fatto, un lavoro di grande pazienza e che mette tuttora a dura prova gli uffici all’ecologia dell’amministrazione provinciale che raccolgono ed aggiornano i dati dei Comuni e particolarmente difficile è la situazione a Como. Sono ben 220 i chilometri di strade; in alcune zone, come in centro storico, i tubi sono una ragnatela e non si riesce a ricostruire la mappa, 30 gli scarichi non autorizzati censiti; il fiume Cosia, semicoperto; il fiume Valduce, coperto, di sicuro ricevono scarichi in libertà che portano al lago e già un’indagine 2008 di Arpa ed amministrazione provinciale era a livello d’allarme per l’apporto inquinante di questi corsi d’acqua. Ma anche dove c’è la fognatura, in città e nei paesi, nessuno è in grado di dire se tutti gli edifici sono allacciati e un conto sono i piccoli insediamenti di montagna, un conto sono quelli di città dall’ apporto ben diverso. Non è una situazione disastrosa, affermano i tecnici provinciali anche sulla base dei rapporti Arpa, perché negli anni sono stati effettuati investimenti su fognature, collettori e depuratori. Ma l’attesa di miglioramenti decisivi perdura: l’anello debole di tutta la catena oggi sono i Comuni, che hanno impiegato sette anni per costituire il Consorzio obbligatorio Ato e tre, senza convinzione, per una dichiarazione d’intenti su Comoacqua.
Maria Castelli
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