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Mercoledì 27 Gennaio 2010
Ticosa, tre anni dopo
c'è solo la vergogna
Il freddo era più o meno lo stesso di questi giorni, il numero era identico: 27 gennaio. Il calendario era quello del 2007. E l’orologio segnava le 18.08. Il sindaco Stefano Bruni, accanto al presidente della Regione Roberto Formigoni, dava il via all’abbattimento del «corpo a C» della Ticosa tra i fuochi d’artificio
Poco, invece, è cambiato nel parcheggio che c’era anche tre anni fa. Si è solo aggiunta la neve che blocca gli accessi, immondizia, e buche.
Tutto più ordinato e nascosto (almeno a chi lascia l’auto in sosta), ma altrettanto abbandonato, nella Santarella, la ex centrale termica che prese il nome dell’ingegnere che più di ogni altro studiò le proprietà del cemento armato. Il cancello è aperto e chiunque può entrare e rituffarsi in un deposito di biciclette a pezzi (quasi certamente rubate) e accatastate, immondizia, uno stendino con tanto di panni stesi, una coperta. Lì è il posto peggiore per dormire poiché, nonostante l’apparente grandezza, il soffitto è altissimo (e a pezzi) e il freddo è molto più pungente. Non a caso gli inquilini della bidonville Ticosa hanno scelto le zone più anguste, ma nello stesso tempo più riparate e maggiormente in grado di trattenere il calore.
«Fino a 26 anni fa - erano state le parole che avevano fatto da sfondo allo show dell’abbattimento - la Ticosa era la locomotiva che ha spinto la vita della città. Poi quella locomotiva si è fermata, è diventata un ferro vecchio, un peso per Como. Da apporto di sviluppo è diventata un problema. Non festeggiamo perché una fabbrica ha chiuso, ma perchè dopo 26 anni quel ferro vecchio viene sostituito con uno nuovo, con la vita, con un quartiere». Il nuovo quartiere un giorno ci sarà, ma tre anni dopo restano solo i disperati e la vergogna.
<+G_FIRMA>Gi. Ro.<+G_TONDO>Il freddo era più o meno lo stesso di questi giorni, il numero era identico: 27 gennaio. Il calendario era quello del 2007. E l’orologio segnava le 18.08. Il sindaco Stefano Bruni, accanto al presidente della Regione Roberto Formigoni, dava il via all’abbattimento del «corpo a C» tra i fuochi d’artificio. Un addio alla vecchia fabbrica che avrebbe dovuto segnare la nuova pagina per Como che finalmente si liberava di quello scheletro trasformato in hotel per disperati. Tre anni dopo andare in quella stessa area significa oltrepassare un cumulo di neve ormai trasformata in cemento (è diventata pure grigio) e ritrovarsi tra sporcizia, rifiuti, case improvvisate. Una bidonville. Sotto il ponte del Cosia ci sono loculi con vestiti, pentolini, coperte, cassette di legno, secchi e latte. Poco più avanti, tra i cespugli, in pieno giorno si vedono fuochi accesi e, attorno, disperati che cercano di scaldarsi, le stesse zingare che si incrociano al semaforo della tangenziale, ma anche giovani con birre e bottiglie in mano. Gli alberi vengono utilizzati come cespugli e stendini. La ex centrale dell’Enel è stata trasformata in una casa. È stata ricavata anche una sorta di canna fumaria improvvisata, che butta il fumo all’esterno, probabilmente che arriva da un fuoco acceso visto che poi lentamente svanisce. Impossibile immaginare l’interno, anche se certamente ci sono due ragazzi (uno a un certo punto esce). La pentola utilizzata per cucinare viene messa su un muretto all’esterno per raffreddarsi e resta lì. Uno dei due ragazzi è in salopette e maglietta a maniche corte e, alla vista di persone nelle vicinanze, fa gestacci. Poi rientra nella baracca di cemento con le finestrelle rivolte verso il parcheggio. Guardando verso lo spazio dove, fino a tre anni fa c’era il corpo a C, si vedono sterpaglie e ovunque rifiuti e sacchetti. Nessuna persona. I disperati e chi vive lì ha scelto infatti la zona verso il ponte del Cosia, più riparata, ma non meno visibile. Il fumo e i fuochi si vedono infatti a distanza.
Poco, invece, è cambiato nel parcheggio che c’era anche tre anni fa. Si è solo aggiunta la neve che blocca gli accessi, immondizia, e buche.
Tutto più ordinato e nascosto (almeno a chi lascia l’auto in sosta), ma altrettanto abbandonato, nella Santarella, la ex centrale termica che prese il nome dell’ingegnere che più di ogni altro studiò le proprietà del cemento armato. Il cancello è aperto e chiunque può entrare e rituffarsi in un deposito di biciclette a pezzi (quasi certamente rubate) e accatastate, immondizia, uno stendino con tanto di panni stesi, una coperta. Lì è il posto peggiore per dormire poiché, nonostante l’apparente grandezza, il soffitto è altissimo (e a pezzi) e il freddo è molto più pungente. Non a caso gli inquilini della bidonville Ticosa hanno scelto le zone più anguste, ma nello stesso tempo più riparate e maggiormente in grado di trattenere il calore.
«Fino a 26 anni fa - erano state le parole che avevano fatto da sfondo allo show dell’abbattimento - la Ticosa era la locomotiva che ha spinto la vita della città. Poi quella locomotiva si è fermata, è diventata un ferro vecchio, un peso per Como. Da apporto di sviluppo è diventata un problema. Non festeggiamo perché una fabbrica ha chiuso, ma perchè dopo 26 anni quel ferro vecchio viene sostituito con uno nuovo, con la vita, con un quartiere». Il nuovo quartiere un giorno ci sarà, ma tre anni dopo restano solo i disperati e la vergogna.
Gi. Ro.
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