Una cittadella del commercio
al posto del mercato coperto

Un ortolano storico, che porta avanti un'azienda fondata nel 1892 ed ora se ne deve andare, dal padiglione dei grossisti: con un investimento da 1,8 milioni di euro, finanziamenti regionali, il Comune intende trasformare la struttura in una «cittadella del commercio». Ecco alcuni pareri

a.cavalcanti

COMO «Tutta la nostra solidarietà a Giuseppe e ad Alessandro Bianchi. Possiamo comprendere i problemi legati al trasferimento di un'azienda che opera al mercato all'ingrosso da quasi 70 anni. Ma un fatto è certo: i padiglioni sono da ristrutturare e bisogna far qualcosa per tutti gli operatori. Ogni anno il mercato coperto perde pezzi d'attività»: è la voce di Giuseppe Giordano, risuona tra le bancarelle di frutta e verdura il giorno dopo la pubblicazione del «caso Bianchi». Un ortolano storico, che porta avanti un'azienda fondata nel 1892 ed ora se ne deve andare, dal padiglione dei grossisti: con un investimento da 1,8 milioni di euro, finanziamenti regionali, il Comune intende trasformare la struttura in una «cittadella del commercio», botteghe al dettaglio, una piazza in mezzo, spazi ludici, servizi igienici, per rilanciare il mercato coperto come servizio integrato al consumatore, nell'ambito della formazione di un “distretto del commercio”, che recupera l'antica tradizione mercantile della città e sostituisce i posti di lavoro perduti nel manifatturiero. «Ma io dove vado? - chiede Bianchi - con i miei 11 dipendenti e il servizio a clienti, privati e ristoranti?». Gli altri operatori capiscono i suoi interrogativi, ma aggiungono: «Dove andiamo tutti noi?», come dice Luca Bellotti. «L'unica grossista rimasto è Bianchi - spiega - tutti gli altri se ne sono andati. Un padiglione intero è vuoto. Negli altri padiglioni ci siamo noi, che chiediamo interventi, per mantenere la nostra attività e i nostri posti di lavoro. Siamo in quaranta, almeno 60 - 80 famiglie dipendono da queste bancarelle». E allora? «Allora, bisogna ragionare - afferma Bellotti - se il Comune offre un'alternativa, bisogna trattarla e spostarsi. Mi rendo conto: non è facile e a Bianchi va tutta la mia solidarietà. Ma il mercato coperto deve tornare ad essere un fiore all'occhiello della città: va ristrutturato e dotato di servizi. Il padiglione all'ingrosso è ormai deserto. Il Comune si impegni a metterlo a posto e pensi anche a noi». Corsie strette, tra una bancarella e l'altra; servizi igienici inaccessibili, calo del 20% della clientela, ma il mercato coperto resta un ambiente particolare. Ha il fascino delle cose antiche, delle cose che appartengono ai comaschi, della qualità e del prezzo. Questa è come una grande fabbrica, dicono gli operatori, rinnovarsi o morire.
«Una svolta - chiede Pietro Santamaria - solidarietà a Bianchi, ma il problema è che qui bisogna rifare tutto nuovo. Sono strutture troppo vecchie, ogni tanto ci mettono una pezza, ma le esigenze della società cambiano, la gente va dove è comoda, qualità e prezzo sono due elementi e ci vuole il terzo, la comodità». Gli operatori dicono che qui ci sarebbero tutti i presupposti per unire tradizione ed innovazione e il Comune fa sapere che Bianchi era informato da tempo sulla necessità di spostamento e che il progetto è stato concordato con le associazioni di categoria. Ma Bianchi Giuseppe, classe 1932, dice: «Qui c'è tutta la mia vita».
Maria Castelli

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Mercoledì 24 Febbraio 2010

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