"Rosa e Olindo sono innocenti
Serve coraggio: assolveteli"

Arringa fiume dell'avvocato Fabio Schembri nella terza udienza del processo in corte d'Assise d'appello. Altre accuse ai Castagna, ai carabinieri e ai giudici di primo grado. Si torna in aula il prossimo 12 aprile

MILANO - «Per la scienza Olindo e Rosa sono innocenti». Lo ha detto ieri, al termine di un'arringa di oltre cinque ore, l'avvocato Fabio Schembri che, nell'aula della corte d'Assise d'appello di Milano si è rivolto ai giurati invitandoli «a essere coraggiosi e a non temere nulla» per poter «riparare a un grosso errore giudiziario».

L'errore è naturalmente la condanna all'ergastolo dei due vicini della corte di via Diaz, ieri nuovamente presenti in aula per rispondere dell'eccidio che l'11 dicembre 2006 costò la vita a Raffaella Castagna, al suo piccolo Youssef, alla nonna Paola Galli e alla vicina di casa Valeria Cherubini. Schembri è stato molto duro, replicando, sia pure con maggiore verve e indubbie doti oratorie, l'arringa che nel novembre del 2008 non bastò comunque a evitare le due condanne. Ha attaccato tutto e tutti, offrendo scorci a tratti suggestivi ma che, per dirla con il procuratore generale di Milano Nunzia Gatto, «non hanno offerto elementi davvero nuovi». Tre i nodi contestati: le confessioni («indotte»), la macchia di sangue trovata sul battitacco dell'auto di Romano (e attribuita alla Cherubini) e il riconoscimento di Olindo. Del file audio relativo al colloquio che il superteste Frigerio ebbe con gli inquirenti il 15 dicembre, quello in cui pronunciò il nome di Olindo per la prima volta (non per la difesa, secondo cui la parola esatta non è "Olindo" ma "uscendo") di quel file Schembri ha parlato come di una perizia «fatta in casa», di «una prova formata dalla Corte d'assise e subito distribuita alla stampa» (in realtà fu fatta ascoltare in aula alle parti e al pubblico, perché ciascuno ne traesse le proprie sensazioni).

La traccia audio, come si evince dalle sue "proprietà", fu riprodotta il primo aprile 2008 alle 18.38, la sera prima dell'udienza: «È un file - ha tuonato Schembri - creato con un programma, il "cool edit", che si utilizza per copiare, lavorare, modificare questo tipo di files e che può, come avvertono le istruzioni, distorcere i suoni (...)Ecco perché quel prodotto del tribunale di Como è inutilizzabile». Duri, di nuovo, anche gli attacchi al luogotenente Luciano Gallorini, e alle sue «indagini a senso unico». Nel mirino ci sono, tra l'altro, il verbale concernente il sopralluogo sulla Seat che portò al rinvenimento della macchia di sangue: Schembri ha detto che ce ne sono due copie, uno firmata e l'altra redatta in fora anonima. «Quella macchia - ha detto - potrebbe avercela portata chiunque».
Sulle confessioni, l'avvocato ha rispolverato lo stesso conteggio già svolto in primo grado: «Nei verbali, i non ricordo e i non so sono decine. Olindo commette un errore ogni 30 secondi, in tutto ne colleziona addirittura 243». Gallorini finisce sulla graticola anche in relazione alle audizioni del superteste Frigerio. Le sue colpe? Quello di averlo interrogato ponendogli quesiti che la difesa definisce suggestivi. Per esempio: «Diciamo per assurdo - chiese il comandante - Se lei (Frigerio, ndr) avesse visto Olindo come suo aggressore lo avrebbe riconosciuto?».

Tutto fu allora suggerito, ha detto Schembri, da chi interrogava, al punto da alimentare quella che oggi il consulente tecnico della difesa, lo pischiatra Strada, cataloga nell'ambito della cosiddetta teoria del falso ricordo. Infine la vicina, Valeria Cherubini. Per i difensori di Rosa e Olindo, fu uccisa al piano di sopra, sotto gli abbaini del suo appartamento, come ben testimonia quello che Schembri indica quale squarcio di una coltellata sulla tenda della finestra. Combinata alla mancanza di sangue sulle scale (ce n'è senz'altro di più in casa) la circostanza stringerebbe ulteriormente, e fino a renderli quasi impraticabili, i tempi a disposizione dei killer per fuggire dal piano terra, dove si suppone siano passati i Romano. Schembri è di tutt'altra idea: gli assassini scesero di un solo piano, rientrarono in casa Castagna, e si allontanarono dal terrazzino, probabilmente calandosi dai tubi delle grondaie. Anche se le finestre dell'appartamento, all'arrivo dei primi soccorritori, risultarono tutte chiuse dall'interno.

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