Ci sono troppi stranieri:
e l'albanese cambia scuola

Como: è un caso di «razzismo tra i razzismi», dice il preside dell'istituto, riferendo di sette piccoli alunni dell'asilo Sant'Elia, che alle elementari cambieranno quartiere perché i loro genitori non vogliono mandarli in quelle fortemente multietniche di Como Borghi

f.angelini

COMO «È come se io, che vengo dal Sud, non volessi mandare mio figlio in una scuola con tanti meridionali». L'integrazione assume nuove sfaccettature, che il dirigente dell'Istituto comprensivo Como Borghi, Marzio Caggiano, non esita a definire «inquietanti». Anche se non ne è sorpreso: «Quando ero studente in Inghilterra già accadeva che persone immigrate decidessero di mandare i loro figli in scuole con una minore concentrazione di stranieri. Trent'anni dopo, la stessa cosa succede da noi». È un caso di «razzismo tra i razzismi», dice il preside, riferendo di sette piccoli alunni dell'asilo Sant'Elia, che alle elementari cambieranno quartiere perché i loro genitori non vogliono mandarli in quelle fortemente multietniche di Como Borghi. Il problema era già emerso lo scorso anno, quando due famiglie fecero la stessa scelta. «Prevalentemente sono stranieri che vengono dall'Albania e dalla Romania e che hanno acquisito più velocemente il senso di appartenenza alla terra di adozione - racconta Caggiano -. I più erano profughi politici: due architetti che fanno i portieri in un condominio, ad esempio, ma anche un'infermiera fidanzata con un professionista di Como». Ma quali motivazioni danno di questa "fuga"? In passato era successo, alla media «Parini», che degli italiani avessero trasferito i figli in altra scuola sostenendo che in via Gramsci la forte presenza di immigrati avrebbe rallentato il programma scolastico. «Qui il problema è solo percettivo - afferma il dirigente -. "Non vogliamo che i nostri figli vadano in una scuola di stranieri", mi hanno detto quei genitori. E io non ho potuto che rispondere con una domanda: "Ma voi da dove venite?"». Per Caggiano si tratta di un fenomeno che merita di essere monitorato: «Non è un problema di didattica né di programmi, ma di razzismo tra i razzismi, di persone che vogliono cominciare a scegliersi percorsi dove pensano di trovare per i loro figli un'offerta migliore».

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Martedì 18 Maggio 2010

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