La crisi non concede tregua
Chiudono 1300 aziende

Sono 1317 imprenditori ancora a casa tra gennaio e maggio 2010 e decine di dipendenti in cassa, se non già alla ricerca di una nuova occupazione. Nel complesso il totale delle attività registrate è pari a oltre 50mila aziende delle quali 44.816 attive

COMO - Sono 1317 imprenditori ancora a casa tra gennaio e maggio 2010 e decine di dipendenti in cassa, se non già alla ricerca di una nuova occupazione. A essere scaramantici, l'accoppiamento delle due cifre, il 13 e il 17, manderebbe ancora più in tilt il sistema imprenditoriale comasco che, comunque, nonostante gli affanni, sta poco alla volta rialzando la testa e guardando al futuro con nuovi progetti e buone speranze. All'anagrafe camerale di Via Parini comunque il lavoro non manca e le movimentazioni di disposizioni non cessano, tanto che nel marzo 2010 il numero di iscritte nei primi tre mesi dell'anno era di 1.169 società, a fronte delle 1.213 cessazioni (la maggior parte delle cessazioni si registra infatti a gennaio, con l'anno nuovo), con un saldo negativo di 44: nel complesso il totale delle attività registrate è pari a oltre 50mila aziende delle quali 44.816 attive e produttrici di reddito per il buon andamento del sistema economico locale.

Il maggior numero di investimenti a Como interessa soprattutto le ditte individuali con 24.507 aziende attive, seguite dalle società di persone, 10.576, e quelle di capitale, che sono 8.940 (793 le cosiddette "residuali"). Il quadro complessivo lascia spazio a un moderato ottimismo, visto che nelle "stanze dei bottoni" dell'economia comasca, si colgono sgnelia di timidissima ripresa. Ma nel complesso sono ancora centinaia le piccole, medie e grandi aziende che chiudono i battenti (280 in poche settimane a Como), schiacciate da una serie di fattori a cui si somma comunque anche la concorrenza dei mercati che producono a basso prezzo, le delocalizzazionie le speculazioni finanziarie e immobiliari.
Sarebbero davvero centinaia le storie da raccontare, ma l'imprenditore comasco non ama mettere in piazza i propri problemi e si rifugia dietro le poche cose che gli rimangono. Como non è tanto diversa da altre realtà, anche qui le storie hanno il solito, amarissimo sapore: posti di lavoro persi, famiglie disperate, realtà produttive decennali che spariscono, e tutto ciò riprodotto in ciascuno dei settori della filiera economica lariana, dal mercato del tessile, del fashion che versa in situazioni di stallo generale, fino al comparto della meccanica e del turismo, che nonostante progetti e stanziamenti, fatica a ingranare.

Il quadro comasco riproduce un trend molto simile a livello regionale: tutti gli undici capoluoghi di provincia lombardi si dibattono nelle medesime difficoltà, con percentuali molto simili, in termini di riduzione di attività economiche, tra gennaio e aprile: a Milano spetta il record, con la bellezza di 8.834 cancellazioni di impresa, seguita da Brescia che di aziende ne ha perse 3.502 e da Bergamo, in cui ne sono state chiuse 2.587. Nella classifica seguono Varese con 2.186, Monza Brianza con 2.016, Pavia (1.672), Como (1.317), Mantova (1.045), Cremona (871), Lecco (767), Lodi (519) e Sondrio (513). Che fare? C'è chi chiede che le istituzioni si attivino per sostenere con forza maggiore la vocazione manifatturiera del Paese per creare nuovi indotti e occupazione, ma non è facile. A Como si guarda ugualmente al futuro, cercando di ancorarsi ai primi segnali di ripresa. La crisi economica, prima o poi, passerà.
Arianna Augustoni

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