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Domenica 08 Agosto 2010
Delitto Brambilla, la versione
di Emanuele La Rosa
Tornato a casa dopo sei mesi in carcere, parla il ristoratore di Senna che aiutò il genero a disfarsi del cadavere di Giacomo Brambilla
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Impossibile dimenticare la vicenda che ha visto coinvolto Emanuele La Rosa, indagato per concorso in distruzione di cadavere nell'inchiesta sull'omicidio di Giacomo Brambilla. E' indagato per avere aiutato il genero Alberto Arrighi – l'armiere di Como accusato di omicidio premeditato – a sbarazzarsi del cadavere. La Rosa da una settimana è libero dopo sei mesi di carcere, per decorrenza dei termini di custodia cautelare, e preferirebbe che tutto finisse in fretta. Vorrebbe che calasse il sipario, sulla vicenda giudiziaria in cui è coinvolto: «Momentaneamente, diciamo così, sono libero – dice La Rosa – voglio soltanto vivere con la mia famiglia, avere la mia dignità. Per un momento di sbandamento, so di avere perso la reputazione che avevo in tutti questi anni. Sto cercando di ricostruirmela».
Pizzaiolo per una vita, dove ha fatto nascere e ha ingrandito il suo locale, a Senna La Rosa è molto conosciuto. «Non sono mai stato un delinquente. Non ho fatto altro che lavorare nel mio locale, giorno e notte, per quarant'anni». I pensieri si rincorrono di continuo. Mentre si avvicina la prima udienza del processo. Con una consapevolezza precisa, nota a tutti: «Siamo rei confessi», ricorda a proposito di sé e di Arrighi, sempre detenuto. Insieme hanno vissuto questi ultimi mesi al Bassone. Tutto per quella testa lasciata a cuocere nel forno, con un cartello scritto di suo pugno «non toccare, deve cuocere». E la consapevolezza che la detenzione in carcere potrebbe non essere finita.
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