"Ho ritrovato il mio papà
che non ho mai conosciuto"

Severino Cappelletti di Senna Comasco, morto in Germania nel '44, era nella lista degli italiani di cui lo Stato non ha mai comunicato il luogo di sepoltura ai familiari. La commovente testimoninza della figlia concepita durante un breve rientro a casa tra la campagna di Russia e la deportazione

CASNATE CON BERNATE - «Quando ho letto che mio padre, Severino Cappelletti, è sepolto in un cimitero militare ad Amburgo, mi sembrava un sogno. Avevamo sempre pensato che lo avessero buttato in una fossa comune». Gabriella non ha mai conosciuto il suo papà - lei è nata il 9 marzo del '44 quando lui era già stato deportato il Germania, dove è morto il 22 ottobre di quello stesso anno - quindi leggere il suo nome, e il luogo di sepoltura, nell'elenco dei "dispersi" comaschi che abbiamo pubblicato nei giorni scorsi, è stata un'emozione doppia. Un po' come se lo avesse ritrovato. E ora, assieme al marito Gianluigi Gorla e alle figlie Sabrina (46 anni) e Michela (45), pensa già al lungo viaggio che la attende per poter far visita alla tomba, e spera di riuscire a far rimpatriare i resti per dare al suo papà una sepoltura "in famiglia" nel cimitero di Bernate. «Mio padre era del 1909 - racconta Gabriella -. Faceva il "lustrùn", cioè il lucidatore in un mobilificio di Cantù. Sposò la mia mamma il 9 settembre del '38 e, quando scoppiò la guerra, fu mandato prima a Tripoli e poi in Russia». Sopravvisse alla tragica ritirata dei soldati italiani sul suolo sovietico e il 9 giugno del '43 riuscì a tornare a casa. Giusto il tempo per concepire la bimba che non ha mai potuto vedere. «L'8 settembre - prosegue il racconto della figlia - si trovava con il suo battaglione a Livorno. I tedeschi erano in giro a raccogliere i soldati sbandati per mandarli in Germania. Lui si nascose in un portone. Ma una signora ebbe paura e lo buttò fuori. Così finì a lavorare in un lager in Bassa Sassonia». Della tragica esperienza in Germania, la figlia conserva due cartoline e una lettera inviate a casa, oltre a un paio di testimonianze dirette di altri comaschi che sono riusciti a ritornare sani e salvi. «Morì sotto un bombardamento degli Alleati - riferisce Gabriella -. Il Comune di Capiago Intimiano lo disse al parroco, che però, essendo sotto Natale, preferì lasciarci passare le feste in tranquillità e diede la notizia a una mia zia solo ai primi di gennaio». Uno zio partì subito per dirlo alla mamma, che lavorava in una tessitura ad Albate. Di quel giorno la nipote, Michela, custodisce nella memoria il racconto commovente della nonna, scomparsa nel '90. «Quella mattina c'era la neve. Lei stava andando al lavoro in bicicletta, dalla frazione Palazzetta di Intimiano ad Albate, lungo la via Canturina. Erano le cinque del mattino. Vide un soldato in mezzo alla strada e ne ebbe paura. Era da sola e poi era ancora buio. Dopo un po' arrivò altra gente. "Passi no, g'ho pagüra", disse la nonna. Ma quel soldato lo vedeva solo lei. Aveva avuto una specie di visione. E ogni volta che raccontava l'episodio ci faceva accapponare la pelle». Ora la figlia vorrebbe far riposare per sempre il suo papà vicino alla mamma, nel cimitero di Bernate. E anche «all'altro papà», il secondo marito della madre, che l'ha cresciuta da quando aveva tre anni e che nel '51 le ha dato una sorellina. Una famiglia allargata d'altri tempi, rimasta eccezionalmente unita in mezzo ai marosi della storia.
Pietro Berra

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