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Lunedì 18 Ottobre 2010
" Senza memoria non esistiamo..."
La nostra personalità è nei ricordi, secondo Kandel, il fondatore delle neuroscienze
Comprendere la mente umana in termini biologici è certamente una delle sfide più importanti per la scienza nel ventunesimo secolo, e sono molti i ricercatori e gli scienziati impegnati in questo affascinante campo del conoscere. Fra questi, Erik Kandel, 81 anni, professore alla Columbia University di New York, si pone come uno dei più importanti e si può considerare il fondatore delle neuroscienze moderne. Grazie ai suoi studi sull'Aplysia, una grossa lumaca con un sistema nervoso relativamente semplice, Kandel scoprì come l'apprendimento dipende dalla nostra capacità di rinforzare le connessioni tra i neuroni, le "sinapsi", gettando le basi di quella che oggi chiamiamo "plasticità cerebrale", ovvero la capacità di modificare incessantemente il nostro cervello in risposta alle esperienze. Queste ricerche, nel 2000, gli valsero il Premio Nobel per la medicina, che divise con Arvid Carlsson, dell'Università di Goteborg e con Paul Greengard, della Rockefeller University. Come scrive nel suo libro "In cerca della memoria": per le sue ampie implicazioni individuali e sociali, la biologia della mente sarà per il XXI secolo quello che la biologia del gene è stata nel XX secolo. Erik Kandel, fra gli ospiti più prestigiosi dell'ultima edizione di Bergamo Scienza con la conferenza dal titolo «Siamo quello che ricordiamo: la memoria e la base biologica dell'individualità», parla a La Provincia delle sue scoperte.
Professor Kandel, lei iniziò la sua carriera come psicologo e successivamente si dedicò alla scienza di base, in particolare, alle neuroscienze. Ci fu un particolare evento che la spinse a prendere questa direzione?
Quando ero ancora uno studente ho avuto la possibilità di passare sei mesi in un laboratorio di ricerca (quello di Harry Grundfest, nel 1955) dove ho ricevuto importantissimi stimoli; poi sono stato al National Institute of Health per 3 anni. Mi sono reso conto che la psicoanalisi, per cui nutrivo un enorme interesse, nella ricerca della locazione dell'ego, dell'id o del superego, non era un metodo scientifico e per fare scienza dovevo fare ricerca di base.
Le idee e le teorie di Freud hanno influenzato il suo modo di vedere la psicologia e, in un certo senso, la mente?
Sì, certamente Freud è stato molto stimolante, anche se non era troppo empirico; tuttavia, è stato essenziale per studiare le emozioni e un ottimo pretesto per studiare la memoria.
Perché ha scelto un animale come l'Aplysia come modello per studiare la memoria?
Inizialmente, fra il 1957 e il 60, avevo cominciato a studiare l'ippocampo, anche in seguito agli studi sul famoso paziente H.M. (esempio fra i più famosi nel campo delle neuroscienze; dopo l'asportazione dell'ippocampo, per inibire continue crisi epilettiche, non riusciva a trattenere i ricordi più recenti, sebbene riuscisse a condurre una vita normale, nda). Mi accorsi, però, che per studiare la memoria, l'ippocampo era un sistema troppo complesso da analizzare ed era meglio iniziare con un'architettura più semplice, come quella di un arco riflesso. L'Aplysia era ideale, con un "cervello" formato da circa 20.000 neuroni.
Quanto è importante la componente genetica nella memoria?
La capacità di ricordare è in parte genetica; ad esempio, mutazioni della proteina Creb dimostrano che il fattore genetico ha una sua componente nella memoria.
Quanto la mente dipende dal cervello?
Beh, si può dire che ogni funzione mentale è una funzione cerebrale.
Lei sostiene che "siamo quelli che siamo in base a quello che impariamo e ricordiamo"; siamo quindi in continuo cambiamento, siamo sempre diversi?
È esattamente così! I cambiamenti sono molto piccoli e ogni nuova esperienza crea delle modifiche. Anche la nostra mente cambia, in quanto impariamo cose nuove.
Oggigiorno, quali sono le grandi domande a cui manca una risposta nel campo delle neuroscienze?
Direi certamente la natura della coscienza e delle emozioni; le interazioni che si creano a livello cerebrale. Come i circuiti più complessi lavorano. Ad esempio, quando stiamo guardando un quadro stupendo non sappiamo cosa succede nella nostra testa: sono processi complicatissimi. Abbiamo iniziato a capire i meccanismi più semplici, ora le cose si complicano sempre di più. Guarda il video della conferenza
Marco Cambiaghi
* Dottore di Ricerca in Medicina Molecolare presso il San Raffaele di Milano
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