Evasione e maxi sequestri
Lo Stato recupera tre milioni

Frodare il fisco, alla fine, non sempre paga. Ne sanno qualcosa le tasche delle venti persone accusate di una maxi frode alle casse dell'erario e per le quali la procura ha chiesto e ottenuto il sequestro dei beni personali, proprio come si fa con i beni dei mafiosi

COMO - .
Gli uomini del nucleo di polizia tributaria di Como, in meno di un mese, sono riusciti a mettere le mani su qualcosa come tre milioni e mezzo di euro, tra contanti, case, terreni e auto. Tutti beni portati via a quasi la metà degli oltre trenta indagati nell'operazione che ha portato a galla un maxi giro di materiale hi-tech o anche solo di fatture false con l'ausilio di una fitta rete di società - sostengono gli inquirenti - fittizie, amministrate per lo più da pensionati, clochard o nullatenenti.

Dopo aver fatto scattare le manette ai polsi di dieci indagati (tra le quali l'erbese Giampietro Cellerino, il varesino di Luino Andrea Dromì e Paolo Falavigna, residente a Lugano) i finanzieri e gli uomini del pubblico ministero Giuseppe Rose hanno iniziato a dare la caccia agli averi degli indagati. Tra questi le case e i terreni di Benito Bordonaro, di Campione d'Italia, la Bmw e l'Audi del luganese Falavigna, della villetta di Grandate di Alberto Aliverti, delle case di Schignano dello svizzero Paolo Boldreghini.
Secondo i primi calcoli fatti dagli uomini del nucleo di polizia tributaria, a oggi i beni sottoposti a sequestro preventivo ammontano già a oltre tre milioni e mezzo di euro. Un milione e mezzo in contanti, scovati sui conti corrente di alcuni degli indagati. Il resto tra terreni, veicoli, abitazioni.  La caccia a beni da sequestrare, che in ogni caso non è ancora finita, è scattata sulla base della legge sul cosiddetto "sequestro per equivalente", che autorizza la magistratura a sequestrare e, nel caso di condanna, a confiscare definitivamente i beni delle persone accusate di aver sottratto soldi al fisco.

La maxi inchiesta, sulla quale i giudici del riesame hanno respinto la maggior parte dei ricorsi presentati dai legali degli indagati, è iniziata due anni fa, quando l'Agenzia delle Dogane ha iniziato sospettare della corretta gestione della società Ma.Ev. Srl di Turate, ditta operante nel settore del commercio di prodotti elettronici. L'azienda aveva acquistato notevoli quantità di merce dai paesi della Comunità Europea, ed era sospettata di aver immesso quella merce sul mercato italiano a prezzi stracciati grazie a un sistema di evasione dell'Iva. Da qui sono scattati gli accertamenti della guardia di finanza, che hanno portato a scoprire una rete impressionante di società utilizzate - sospettano gli investigatori - solo per generare fatture false utili a evadere l'Iva e a nascondere i guadagni al fisco. Una rete che, neppure a dirlo, andava a pescare nei paradisi fiscali: Lussemburgo, Madeira, Svizzera. Il maxi sequestro finora operato dalle fiamme gialle, in ogni caso, è ben al di sotto dell'evasione contestata. Il sospetto, infatti, è che la stragrande maggioranza dei guadagni asseritamente illeciti sia stata messa al sicuro nei forzieri delle banche svizzere.

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