Cultura e Spettacoli
Mercoledì 08 Dicembre 2010
Cronache dei tempi
della grande povertà
La storica Licia Badesi ha pubblicato una preziosa ricerca di storia sociale "minuta", relativa alle classi popolari comasche tra il '700 e l'800. Un lavoro di scavo tra i documenti dell'Archivio di Stato ha riportato alla luce un mondo lasciato del tutto ai margini della "grande Storia". Affiora anche un profilo della condizione femminile oscillante tra oppressione e autonomia imprenditoriale. Lo pubblica l'editore Geniodonna.
di Manuela Moretti
Mendicanti, artigiani, bottegaie, lucciole, donne delle miniere del ferro, chiaroveggenti, viandanti: sono questi i protagonisti del volume di Licia Badesi "La rivolta del capitano e altre cronache. La vita della gente comune a Como e nel Cantone Ticino (dalla metà del '700 alla metà dell'800)" (Edizioni Geniodonna, 20 euro; in vendita a 15 euro per gli abbonati al mensile italo-ticinese "Geniodonna") che raccoglie le testimonianze della gente comune dell'area comasca e del Canton Ticino tra la metà del Settecento e la metà dell'Ottocento.
Lavoro, sommosse, violenza e povertà sono al centro di questo intenso racconto-cronaca che prende vita grazie a un lungo lavoro di consultazione di più di 200 faldoni presenti nell'Archivio di Stato di Como. Il libro può essere ritirato direttamente alla redazione del mensile "Geniodonna" (dalle 9.30 alle 12:30 e dalle 15:30 alle 18:30; viale Giulio Cesare, 7, Como; per informazioni, telefonare al 031 2759236 o inviare una mail a [email protected]). Abbiamo chiesto all'autrice, fine umanista e storica, con un passato di impegno politico al Parlamento, di svelare curiosità e aneddoti raccolti nel libro ai lettori de "La Provincia".
Signora Licia Badesi, come è nata l'idea del libro?
Lo spunto principale, il progetto da cui il volume ha preso forma, è il desiderio di far emerge dalla cronaca la vita della gente comune, della gente qualunque, quella di cui non si parla - spiega la storica -. Mentre le grandi famiglie lasciano dietro di sé documenti d'archivio per l'eredità che devono consegnare ai successori, la gente comune non entra, di norma, nelle sale dei notai. E fa trapelare qualche traccia di sé solo quando incappa in qualche problema con l'amministrazione o semplicemente quando si presenta la necessità chiedere permessi e autorizzazioni per aprire negozi o vendere qualcosa. I documenti oggetto della mia indagine, che provengono dall'Archivio di Stato di Como, vanno dalla metà del Settecento circa a metà dell'Ottocento, ma alcuni sono anche precedenti, e risalgono ai primi decenni del Settecento.
Il volume raccoglie le testimonianze di poveri e mendicanti. Qual era il loro destino?
Esistevano una quantità di poveri che andavano in giro a cercare la carità. Per mendicare si doveva portare un distintivo, non bisognava essere invadenti ed era necessario avere un permesso: chi non lo possedeva finiva davanti all'autorità.
Quali figure di donna emergono dai documenti?
Le donne le ho trovate soprattutto laddove volevano aprire un negozio: ho immaginato di percorrere le strade della città di Como in quei periodi per andare a comprare il pane. Ho trovato diversi negozi gestiti da donne che avevano l'autorizzazione per aprire l'esercizio e vendere il pane di miglio, quello di segale e frumento o quello misto. Il volume raccoglie altre storie al femminile, come quella delle donne che dovevano portare giù il ferro dalla val Varrone: dal momento che i cavalli non potevano camminare su quei sentieri perché si sarebbero facilmente azzoppati, ci mandavano le donne che portavano giù dei pesantissimi carichi di ferro, che superavano i 30 chili.
I documenti testimoniano anche la presenza del Luogo Pio, dove venivano rinchiuse le donne che davano l'impressione di condurre una vita poco rispettabile…
Il Luogo Pio delle donne convertite - o Conservatorio dell'Immacolata sotto la parrocchia di Sant'Eusebio - accoglieva solo le donne di bell'aspetto che avevano l'aria di voler battere il marciapiede; le vecchie, che non erano ritenute nella condizione di poter esercitare, venivano lasciate per la strada.
Qual è la vicenda che dà origine al titolo del volume?
Il titolo "La rivolta del capitano" è venuto fuori perché uno dei documenti più corposi che ho trovato riguardano quest'uomo che viene arrestato per aver diffuso due o tre manifestini che invitavano alla rivolta. In realtà poi la cosa finisce e va finire nel nulla perché prove contro di lui non ce ne sono e chi ha scritto i volantini resta un personaggio misterioso.
Infine, la vicenda più corposa e complessa che ho trovato in questa mia ricerca riguarda un processo per stupro che risale al 1862.
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