"Sciopero" dei ricercatori
Lezioni a rischio all'Insubria

Il 40% ha scelto di continuare a non fare didattica. «Vogliamo contare nella riscrittura dello statuto». Corsi di Scienze ancora vacanti e chi si doveva laureare a marzo è costretto ad aspettare fino a giugno

COMO - Non rientra, se non in minima parte, la protesta dei ricercatori dell'Università dell'Insubria. L'altro ieri hanno indetto un'assemblea a Varese, cui hanno partecipato anche esponenti di Como, ed è emerso che una cinquantina, pari a circa il 40% del totale, sarebbe intenzionata a continuare ad astenersi dall'attività didattica. Sul Lario il problema riguarda soprattutto Scienze, dove su 75 docenti ben 27 sono ricercatori e, ad eccezione dei matematici, la gran parte intende proseguire sulla "linea dura".
«Le nuove figure di ricercatori precari introdotte dalla riforma hanno l'obbligo di fare lezione, ma noi siamo stati lasciati nel limbo - spiegano Gloria Tabacchi e Andrea Penoni del dipartimento di Scienze chimiche e ambientali -, quindi continueremo con il nostro "sciopero", che non si può neanche definire tale, visto che non siamo pagati per insegnare. Questa volta lo scopo non è più fermare la legge, ma ottenere altri risultati». Due, in particolare, gli obiettivi a breve termine: «Far sì che vengano approvati i decreti attuativi e che i ricercatori abbiano voce in capitolo nella riscrittura dello statuto d'ateneo». Quest'ultimo andrà adeguato, entro sei mesi, alle novità introdotte dalla riforma. «Il compito spetta a una commissione di 12 membri più il rettore, sei dei quali nominati dal Senato accademico e sei dal Consiglio di amministrazione. Non è però specificato - sottolineano i ricercatori - tra quali nominativi debbano essere scelti e noi intendiamo promuovere una petizione per chiedere che vengano indicati attraverso elezioni». Anche gli studenti chiedono di poter eleggere i loro due rappresentanti all'interno della commissione e, per la maggior parte, si confermano solidali con i ricercatori, anche se l'astensione dalle lezioni, assieme alla decisione assunta dai consigli di facoltà di posticipare l'inizio dell'anno accademico per protesta, ha creato loro più di un problema. «Chi si sarebbe dovuto laureare a marzo è stato costretto a rinviare la discussione della tesi a giugno» racconta Selene Marsiglia di Giurisprudenza. Mentre a Scienze diversi corsi sono stati rinviati al secondo semestre e alcuni sono ancora senza titolare.
Ma c'è anche chi sta peggio: gli assegnisti di ricerca. La riforma non li regolarizza: rimangono gli attuali contratti di un anno o due rinnovabili per non più di 8 (dottorato incluso). Ma anzi aggiunge sei anni di precarietà: quelli da ricercatore a tempo determinato. Al termine dei quali potrà scattare l'assunzione solo se ci saranno i fondi, se no dovranno cambiare lavoro. «Siamo in una zona grigia - dice Giancanio Sileo - alla quale ora rischiano di essere assegnati anche i corsi vacanti»
Pietro Berra

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