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Domenica 23 Gennaio 2011
Quando Vallanzasca
assaltò il Credito
L'ex capo della mobile rivive i giorni della rapina di piazza Cavour a Como solo sfiorata dagli angeli del male
Il film, incentrato esclusivamente su Vallanzasca, a mio parere tralascia molte delle gesta criminali, che meglio avrebbero potuto delineare ed approfondire la violenza dei tempi e lo stesso spessore del protagonista. Si ignorano i vari assalti alle carceri (tra cui quello di Lecco, all‘epoca provincia di Como) per far evadere fior di delinquenti, marginalmente vengono descritti i barbari ed immotivati omicidi di poliziotti, attribuendone alcuni,fuori della verità storica, ad altri.
Il mio contatto con Vallanzasca risale agli Anni 70/80, quando ebbi modo di interrogarlo in merito alla rapina compiuta dallo stesso ai danni del Credito italiano di Piazza Cavour, a Como, rapina citata solo marginalmente nel film, nel momento in cui il Loi - "infame" secondo il bel René e poi da lui stesso assassinato - dinanzi ai magistrati confessa la rapina ed il nome dei complici. Ricordo molto bene quell'assalto. Allora dirigevo la squadra Mobile di Como.
In un pomeriggio assolato, nel dopo pranzo, venni chiamato di fretta poiché si sospettava che ci fosse una rapina in banca con sequestro di impiegati. Giunto in piazza Cavour vi trovai un ingente spiegamento di forze dell'ordine. Temporeggiammo per un po', temendo che i banditi potessero essere ancora all'interno, infine entrammo da un'entrata secondaria. Ma i malviventi erano scappati e gli impiegati chiusi nel bagno.
Fu una rapina clamorosa per l'epoca, per la sfrontatezza dei malviventi che, in pieno centro cittadino, avevano osato sfidare l'intera città e le forze dell'ordine. Alla fine, come quasi sempre succede, si riuscì a scoprirne gli autori, ma rimase il cruccio di non averli potuti poi catturare direttamente. L'opportunità purtroppo ci sfuggì per un soffio, dopo l'emissione degli ordini di cattura. Eravamo riusciti a individuare i malviventi in una località della Sardegna, ma quando i colleghi sardi, da noi avvertiti, intervennero, erano tutti fuggiti.
Se li avessimo presi, si sarebbero potute evitare tante morti, in particolare quelle di alcuni poliziotti trovatisi poi sulla strada di quei banditi sanguinari.
Conobbi Vallanzasca di persona nel carcere di san Vittore, nel corso dell'interrogatorio del giudice istruttore dell'epoca, ed attuale neo procuratore della Repubblica di Como, dottor Giacomo Bodero Maccabeo, che avevo accompagnato. Il cosiddetto "Re della Comasina", seduto su una sedia a rotelle per i postumi di una ferita, cercava di apparire simpatico ed irriverente, direi anche irridente, disponibile al colloquio quanto più l'interlocutore dimostrava di seguirlo nel suo fantasioso modo d'essere, esaltando la sua voglia di ego, incurante delle responsabilità che emergevano a suo carico, reo confesso con un atteggiamento superficiale e di sufficienza, come se il fatto specifico non gli interessasse più di tanto, visti i numerosi crimini già attribuitigli con una lunga serie di condanne.
Del resto lui stesso si è definito in un libro «egocentrico, fumantino, narcisista». Al di là dell'ufficialità scherzosamente gli venne fatto rilevare che fumava troppo. Lui reagì ridendo e aggiunse: «Tanto paga Trapani», riferendosi al sequestro di Emanuela Trapani.
Ma la storia di Vallanzasca porta con sè fatti che, se non direttamente a lui collegati, hanno ugualmente una triste valenza. Quando stava per celebrarsi a Como il processo per la rapina al Credito, ci giunse voce che il bandito avesse intenzione, proprio a Como, ritenuta più vulnerabile, di iniettarsi i germi dell'epatite per essere poi ricoverato all'ospedale Sant'Anna e di là tentare la fuga. Tutte le misure di sicurezza dentro ed attorno al Tribunale furono potenziate giorno e notte. Proprio una di quelle notti, una macchina sospetta con alcune persone a bordo lungo via Mentana non si fermò all'alt di una pattuglia e fuggì. Purtroppo nell'occasione un agente fece fuoco per fermarla e ferì un ragazzo. Fu un episodio drammatico, figlio del clima del momento. Va detto che più tardi Vallanzasca, in un altro carcere, davvero si infettò di epatite per poi tentare la fuga.
Per finire, tristi e direi anche offensive le parole messe in bocca al protagonista nel film, quando afferma che i poliziotti che rischiano la vita «proprio per questo hanno l'indennità di rischio». Hanno però anche una famiglia, dei figli, la dignità del loro essere, l'umiltà di vivere con un piccolo stipendio che non consente il lusso e l'abbondanza di certe carriere, l‘onestà del loro essere quotidiano.
Pericle Bergamo
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