È "Il discorso del re" il vincitore. Che le pellicole storiche sulla famiglia reale inglese garbassero alla larga giuria dell'Academy hollywoodiana è notorio, ma ha agito la combinazione con l'interesse che i giurati riservano solitamente ai figli di un dio minore: infatti anche la balbuzie che affligge Giorgio VI - protagonista del "Discorso del re" - è un handicap. Poi c'è il conforto del boxoffice e c'era stato il riconoscimento dell'Associazione dei produttori americani, che tre volte su quattro, statistiche alla mano, anticipa il vincitore della statuina più importante. In forza anche di tutto questo il sontuoso film di Tom Hooper ha trionfato nella notte delle stelle: più che il numero di statuine, quattro, conta il peso di ciascuna e "Il discorso del re", miglior film, ha vinto anche l'Oscar per la regia, per la sceneggiatura originale e per l'interpretazione maschile (Colin Firth: talmente favorito che sarebbe stata clamorosa una sua eventuale esclusione). Allo stesso modo è stato rispettato il pronostico relativo all'affermazione di Natalie Portman che si sdoppia in "Il cigno nero": ha ottenuto l'Oscar per l'interprete protagonista femminile ed era il solo alloro mancante alla performance dell'attrice che ha ritirato il premio con il pancione (ma non è stata la prima a salire in abito premaman sul palco nella storia dello spettacolo degli Oscar), mentre Christian Bale e Melissa Leo si sono aggiudicati il premio dei non protagonisti, comprimari nel medesimo film, "The fighter", in uscita in Italia questa settimana. Ad un grande vincitore come "Il discorso del re" corrisponde uno sconfitto non da poco: con "The social network" - che la partita si sarebbe giocata tra i due, anche se i film nominati per il massimo riconoscimento del cinema mondiale erano dieci, risultava, da ultimo, dalle quotazioni degli scommettitori - la disfida era rimasta aperta tanto più che il racconto delle origini di Facebook, di là delle peculiarità del film, aveva nel frattempo acquisito rilevanza di particolare attualità con il ruolo reale della rete nelle rivolte che infiammano Nord Africa e Medio oriente. Ma "The social network" si è dovuto arrendere, accontentandosi di tre Oscar: per la sceneggiatura non originale, assolutamente doveroso, per il montaggio e per la colonna sonora. Tra le dodici nomination del "Discorso del re" e le otto di "The social network", ad ogni buon conto, ad avere la peggio è stato "Il grinta": dieci candidature, zero Oscar, come ciclicamente succede senza per questo incrinare, nel caso, la qualità del film dei fratelli Coen (risale a quasi vent'anni fa l'Oscar a "Gli spietati", dopo di che il sipario del Kodak Theatre, sede della cerimonia di consegna dei premi, salvo errore non si è più alzato sul genere western) mentre "Inception" parimenti su otto nomination ne ha ottenute quattro in categorie tecniche (fotografia, sonoro, montaggio sonoro, effetti speciali). Da segnalare i premi "Alice in Wonderland", scene e costumi, che hanno così escluso dall'Oscar Antonella Cannarozzi, costumista di "Io sono l'amore" di Luca Guadagnino, unica candidatura italiana, domenica notte, nella scelta platea losangelina. "Toy story 3" è risultato il miglior lungometraggio d'animazione e "In un mondo migliore" di Susanne Bier, che al Festival di Roma aveva conquistato Gran premio della Giuria e Premio del pubblico, giunto a Hollywood in rappresentanza della cinematografia danese, è il migliore dei film non in lingua inglese. Ulteriore riconoscimento meritato e previsto di un'edizione degli Oscar che non ha riservato sorprese, anche per l'alto standard dei film selezionati. Ormai è tempo di ricaduta dei premi: l'effetto Oscar al botteghino, se ci sarà, comincia adesso.