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Lunedì 14 Marzo 2011
"Mia figlia nell'incubo
del terremoto"
Quando hanno capito che la terra non tremava come al solito, ma molto di più e molto più a lungo, hanno interrotto le lezioni. Con calma. E con ordine. Tutti in palestra, una coperta e una scatola di viveri. Una comasca si è trovata in mezzo al terremoto insieme ai suoi compagni di college giapponesi. Ha 17 anni e vorrebbe restare in Giappone. Ma il padre vuole che rientri a Como.
Daniele Minussi è un notaio comasco. Sua figlia Ilaria, studentessa al liceo Volta, ha 17 anni e nell'agosto dello scorso anno è partita per il Giappone con l'associazione «Intercultura», a Fujisawa, e lì doveva restare fino a luglio se non fosse stato per il terremoto. La città dove studia Ilaria è vicina a una centrale nucleare: «Non so se ci sia un reale pericolo - racconta il padre -, ma preferisc che mia figlia torni a scopo cautelativo e prudenziale. E soprattutto perché la famiglia in cui si trova ora è comunque in difficoltà. Sono tutti molti ospitali ed estremamente cordiali, ma mi metto nei loro panni. Un'ospite, in questo momento, è di intralcio. Ilaria mi ha detto che domani toglieranno la corrente elettrica per otto ore. Questo è un problema reale, ancora di più per loro che hanno il riscaldamento elettrico. Per questo stamattina ho comunicato a mia figlia l'intenzione di farla tornare». Ilaria non voleva assolutamente rientrare a casa: «Le auguro di poter tornare di nuovo in Giappone il prima possibile perché sta vivendo un'esperienza straordinaria. Ma adesso non è assolutamente il caso di restare. E infatti anche altri genitori hanno preso la mia stessa decisione». Dei sette studenti comaschi in Giappone con Intercultura, tre torneranno. Gli altri potranno restare perché risiedono in città più lontane dalle centrali. La presidentessa Roberta Giuliani e la responsabile formazione e sviluppo di Intercultura Anna Pozzi Sant'Elia hanno sotto controllo la situazione di tutti quanti. «Mia figlia è molto attratta dalla cultura, dalla lingua e dalle usanze giapponesi e quindi non è un caso che abbia scelto quel Paese - spiega ancora Minussi -. Da parte sua la famiglia ospitante è andata ben oltre lo standard di decoro e ospitalità che ci si può aspettare. Si sentono veramente obbligati a dare il loro meglio con l'ospite. Non si limitano a offrirgli la casa ma lo coinvolgono in tantissime attività, rendendolo parte di un progetto. È ovvio che con i problemi causati dal terremoto non sarebbe giusto addossare loro una responsabilità come questa». I Minussi, che sono di Capiago, hanno saputo del terremoto alle 7 e mezzo del mattino, ascoltando la radio. «Ho capito che era una scossa fuori dal normale, ma ho anche realizzato che mia figlia era più lontana dall'epicentro. Poi è riuscita a contattarmi alle 13, attraverso Skype e il fatto di averla vista mi ha tranquillizzato. Mi sono fatto spiegare come hanno reagito al terremoto e anche questo mi ha sollevato. La sera prima c'era stata una scossa del sesto grado della scala Richter, di cui non avevamo neppure avuto notizia. Loro sono abituati ai terremoti e mia figlia ne ha vissuti spesso da quando è lì. Del resto è partita sapendo che il Giappone era un paese a forte rischio sismico. Ma loro non si scompongono. Hanno un grande sangue freddo. Per andare al campus deve fare 50 chilometri tutte le mattine. Lo fa perché è così che funziona. E ogni pomeriggio ha tre ore di kendo, che è l'attività scelta per lei. Hanno molta disciplina e autocontrollo. E curano molto la forma fisica. Hanno la giornata programmata ma non hanno compiti da fare a casa, quindi nel tempo libero possono dedicarsi alle attività dei club. Ha trascorso due settimane dalla nonna della famiglia ospitante, ha dovuto anche cambiare scuola e si è fatta nuove amiche. Per lei questa è un'esperienza molto arricchente, non si è mai lamentata una volta. Per questo io sono sicuro che tornerà. Ma prima andranno risolti i problemi del terremoto».
Anna Savini
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