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Sabato 26 Marzo 2011
"Io in Giappone
mentre la terra tremava"
Ilaria Minussi è una studentessa comasca di 17 anni che studia al liceo Volta di Como. Ospite, tramite l'associazione Intercultura, di una famiglia nipponica, si trovava a Fujisawa il giorno del terremoto che ha sconvolto il Paese. Ecco la sua testimonianza
a mattina dell'11 marzo sono uscita di casa senza neanche immaginare quello che sarebbe successo di lì a poche ore. Il tragitto da casa a scuola, la Keio Shonan Sfc di Fujisawa, è di un'oretta circa: il primo tratto a piedi, in treno, infine in autobus. L'atmosfera è quella di sempre: gli addetti alle pulizie tirano a lucido la stazione, i mezzi sempre in orario, gli studenti aspettano il bus in un'ordinata fila. Alle 8.40 iniziano le lezioni e si respira un'aria di allegria per il termine degli esami di fine anno scolastico (che in Giappone finisce a marzo) e per l'imminente arrivo delle vacanze di primavera. L'ultima ora di scuola del giorno per le ragazze del quinto anno si svolge in palestra. Verso le 14 e 40 siamo negli spogliatoi a cambiarci per le attività di club pomeridiane quando vedo le ante degli armadietti sbattere con forza e le mie compagne dire «Jishin, jishin!» (terremoto, in giapponese). Presa alla sprovvista non riesco a capire quello che sta succedendo. Mi limito a seguire loro che escono dal piccolo spogliatoio e che vanno al centro della grande palestra vuota.
La scossa è così forte da costringerci a sedere per terra e da farmi venire mal di mare. Terminata la prima scossa la professoressa ci dice di uscire dall'edificio. In pochi minuti tutti abbandonano la scuola per raggrupparsi nel grandissimo campo da gioco di fianco all'edificio principale. Nel frattempo nessuno ha perso la calma o si è fatto prendere dal panico: i ragazzi sanno esattamente cosa fare e ascoltano attentamente le istruzioni del corpo insegnanti, che divide gli alunni per classi e sezioni. Dopo aver fatto l'appello per controllare che non manchi nessuno ci vengono subito consegnate coperte per ripararci dal vento e dal fresco di fuori. I ragazzi prima di prenderne una per se stessi e per il proprio gruppo controllano se gli altri le hanno e non esitano a cedere la propria a qualcun altro che non l'ha. Alcune mie compagne di classe ed io ci sediamo per terra in cerchio dividendo una coperta. I giapponesi, che di solito non amano il contatto fisico, in quella situazione non esitano a tenersi a braccetto, a darsi pacche sulle spalle o ad abbracciarsi. Le mie amiche, vedendomi spaesata, mi rivolgono sorrisi e parole rassicuranti nonostante siano spaventate anche loro, nonostante qualcuna trattenga a stento le lacrime, preoccupandosi per una nonna o un parente lontano. Dopo un tempo che sembra infinito, ecco la seconda scossa. Un boato sommesso e continuo come proveniente dalla pancia di un grande mostro sottoterra. Ancora una volta la bruttissima sensazione di non avere la terra sotto i piedi. Visto da fuori l'edificio della scuola è impressionante: le pareti oscillano come se fatte di gomma. La cosa più stupefacente è la sorpresa di vederlo completamente intatto al termine delle scosse di magnitudo 6. Quando finalmente la terra si ferma alcuni dei professori vanno subito a prendere gli studenti che si stavano già dirigendo verso casa e che erano sul treno al momento della scossa per riportarli a scuola, il luogo più sicuro in quel momento. Escluso il pericolo di imminenti nuove scosse, ci dirigiamo subito tutti in palestra, sempre in ordine e divisi per classi. Fino a sera ci accampiamo lì: chi gioca a carte, chi chiacchiera, chi cerca di contattare con il cellulare la famiglia. Chi può tornare a casa a piedi o in bus lascia la scuola, mentre io insieme a tutti gli altri che hanno bisogno del treno ritorniamo ognuno nella propria classe con la prospettiva di dover dormire a scuola. A ognuno viene consegnato cibo in scatola (scorta che la scuola ha in dote tutti gli anni proprio per queste circostanze) e l'atmosfera si rilassa un poco. I miei amici mi dicono che, anche per loro che sono abituati ai terremoti, quella è stata la prima volta in cui hanno sentito una scossa simile. Nonostante siano molto stanchi e provati tutti hanno il sorriso sulle labbra e parole di conforto. Verso sera il papà e la mamma della mia famiglia ospitante vengono a prendermi in auto a scuola e così, a differenza di alcuni compagni di classe, posso tornare a casa. Mi rendo conto della gravità della situazione solo sentendo le notizie alla televisione, ma soprattutto perché continuano ad arrivare mail dall'Italia di parenti e amici allarmati. Per la notte poi mamma e papà giapponesi mi dicono di preparare uno zaino con vestiti da lasciare di fianco al letto in caso si debba fuggire all'improvviso di notte. Poi, il giorno dopo, la decisione dei miei di farmi tornare a casa.
Ora io sono al sicuro e mi spiace molto aver lasciato improvvisamente tutte le persone che durante questi sette mesi mi sono state sempre accanto e mi hanno accolta con generosità. Prima fra tutti vorrei ringraziare la mia famiglia ospitante: Sachie, la mamma che desiderava molto imparare la lingua italiana e che mi chiedeva di spiegarle la grammatica e che trovava incomprensibile la distinzione dei sostantivi in maschile e femminile; Yasuhiro, il papà a cui piaceva parlare di storia e che era curioso di conoscere i punti di vista altrui; Tomomi, la sorella con cui chiacchieravo interi pomeriggi; la nonna che mi voleva far assaggiare tutte le specialità giapponesi e che mi aveva insegnato a fare gli origami; il nonno che mi regalava sempre le foto dei luoghi che avevamo visitato insieme; tutte le volontarie di AFS Giappone, persone che facevano di tutto per farmi sentire a mio agio e tutti i compagni di scuola e professori che con la loro gentilezza e simpatia mi hanno regalato momenti indimenticabili.
A tutte queste persone, perché so che questo è quello che loro in questo momento desiderano, auguro di poter tornare al più presto alla vita di sempre e di poter ricominciare a costruire i propri sogni con quell'animo delicato e nello stesso tempo tenace che li contraddistingue. Nihon, ganbatte kudasai.
Ilaria Minussi
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