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Giovedì 14 Aprile 2011
Fiction su Arrighi?
Spettacolarizzazione
"Va bene seguire i processi, ma quando la realtà si confonde con la finzione il telespettatore è portato a giudicare al posto dei magistrati". Secondo un esperto di mass media di Como si tratta di un errore e bisognerebbe evitare di svolgere indagini parallele.
Docufiction in cui Rosa e Olindo non sono Rosa e Olindo ma sono identici e quindi si capisce che la storia è la loro. Dove il negozio di armi diventa il negozio di animali, ma si capisce che la storia raccontata da Ris2 Roma è quella di Alberto Arrighi che ammazza Giacomo Brambilla. Con un aggravante: l'accusa alla vittima del telefilm di Canale 5 di essere un usuraio. «Fiction - commenta Fabio Gualdi, avvocato di parte civile - La realtà processuale dice ben altro in relazione a questa accusa».
Secondo Fausto Colombo, sociologo, docente dell'Università Cattolica, la colpa non è solo di chi produce questi programmi che non sono fiction e non sono approfondimenti di cronaca, ma anche di chi sta a guardare. «Quelli che si fermano a guardare un incidente e formano tre chilometri di coda, quelli che scendono ad Avetrana per vedere dove è stata uccisa Sara Scazzi, quelli che vanno a Brembate per Yara». Così succede che la vita di una ragazzina venga passata ai raggi X perché finisce non solo l'occhio dei cronisti ma anche sotto alla curiosità di tutti i programmi di intrattenimento che si nutrono di fatti di sangue in mezzo a tutto il resto. Oltre al fatto che poi ci sono trasmissioni serie come «Chi l'ha visto» che danno ricostruzioni opposte a quanto ricostruito dalla magistratura (Rosa e Olindo potrebbero non essere colpevoli).
«E in questo caso stiamo parlando di un programma serio - commenta Colombo - Il problema è che così facendo lo spettatore si sente in dovere di giudicare e anche di avere sufficienti elementi per farlo. In realtà la verità processuale, che non è mai neanche la verità assoluta perché lo sanno anche i giudici che devono farsi un reale convincimento, viene sgretolata. E non va bene. Perché alla verità processuale si arriva con prove ed elementi di indagine che in televisione non ci sono e non ci devono essere. Pensi che i genitori di Alfredo Rampi, il ragazzo morto nel pozzo a Vermicino nell'81 hanno chiesto il diritto all'oblio. Ovvero di non trasmettere più foto o video di quel fatto che li aveva devastati».
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