Gaza, il nome di Vittorio
comparirà su un monumento

Le parole del volontario brianzolo assassinato a Gaza, quelle raccontate a La Provincia e tratte dal suo blog

Un post scriptum in fondo a una mail, con le parole di un militante di pace. E il timido tentativo di smarcarsi dalla gloria. «Ps. Da oggi una piazza centrale di Gaza è stata ribattezzata Free Gaza e Liberty, e presto un monumento con inciso tutti i nostri nomi verrà posto a futura memoria della nostra folle, umana impresa. Personalmente, più di questa pietra, il miglior premio è l'indescrivibile gioia, la sincera riconoscenza, che non si placa, dei Gazauri nei nostri confronti. Abbiamo lenito il dolore, ridonato speranza. E questo è solo l'inizio. Vik». Era il 25 agosto 2008. Vittorio Arrigoni, per tanti Vik Utopia, era da poco diventato cittadino onorario palestinese.
Vik, in quell'occasione, fu l'unico italiano decorato di allori nella Terra dei Conflitti. Lui e altri quarantatré volontari di tutto il mondo. Partirono da Cipro a bordo di due piccole imbarcazioni. Vik, seduto a prua, con i piedi scalzi sospesi sulle onde, a forzare il blocco navale degli israeliani, per portare i pescatori di Palestina in mare aperto. «A cinque miglia dal porto abbiamo incrociato le navi da guerra israeliane, ci sono stati momenti di tensione – raccontava in quell'agosto – ma, con un po' di incoscienza, siamo andati al largo e siamo rimasti quattordici ore a pescare. Desideriamo aiutare le scuole, portare attrezzature e medicinali agli ospedali. Dimostrare la nostra solidarietà alla popolazione palestinese».
Vik, reporter, scrittore, giornalista, blogger. Aveva subito risposto alla telefonata arrivata da «La Provincia», per raccontare l'incidente della Freedom Flotilla, il 31 maggio 2010. Nove attivisti turchi uccisi. «Mi trovo davanti al porto di Gaza - disse - siamo tutti scossi, scioccati per quello che è accaduto stanotte. I volti che incrocio sono rigati da un misto di lacrime, sangue e rabbia. Vedo centinaia di palestinesi in corteo. Arrivano sotto la sede delle Nazioni Unite, e chiedono quello che vogliamo anche noi: la comunità internazionale deve dire basta, a questi massacri criminali».
Vik. Una testa, due mani e un computer. Per denunciare a migliaia di persone - via Facebook, Twitter, e-mail - quello che vedevano i suoi occhi, senza troppe distinzioni. Il 15 marzo: «Ore 19.52. Corpi speciali della sicurezza di Hamas hanno attaccato i manifestanti pacifici stipati dinnanzi all'università Al Azhar. Decine di feriti. Tende e ospedale da campo date alle fiamme».
Il 16 marzo: «Caccia F-16 israeliani hanno lanciato 2 missili, mezz'ora fa nei pressi di Zaitoun, a Est di Gaza City. 2 morti e un ferito». Il 12 aprile: «150 donne sono state condotte con la forza via dal villaggio di Awarta nelle vicine basi militari. Fra di loro ci sono donne incinte, vecchie ultraottantenni, bambine. Durante i raid notturni i soldati israeliani lanciano granate, distruggono case e scorte alimentari. A oggi, 71 palestinesi di Awarta risultano ancora sequestrati in Israele. Fra di loro, c'è anche Julia Mazen Awwad, 14 anni. La sorella di Julia, Halaa, 6 anni, è stata presa a calci dai soldati mentre cercava di impedire l'arresto della madre e della sorella».
Come ha scritto qualcuno in queste ore, «Vittorio era più palestinese dei palestinesi che l'hanno ucciso». Per quanto si sa, una minoranza iperintegralista, colpevole di un truce assassinio, condannato sia da Hamas che da Fatah. Le due principali fazioni palestinesi, spesso in conflitto, e oggi unite per Vik. Il gigante buono e pazzoide che voleva dare una mano.
Christian Galimberti

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