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Giovedì 19 Maggio 2011
La camiciola di Innocenzo XI
Ritratto inedito del Papa lariano
Per i 400 anni del pontefice Benedetto Odescalchi affiorano dall'Archivio di Stato di Como alcune bolle preziose che gettano luce sulla dimensione privata del personaggio storico.
di Magda Noseda *
Molto estetica, con grandi lettere “a cancello” che si innalzano e si allungano a fogliami riccioluti nella grande “I” iniziale di Innocenzo, che tradisce il gusto barocco, stanco della misura, della compostezza e della regolarità, e ama, invece, la forma turgida, ricercata, drammatica è la grafia con la quale sono vergate le “Bolle” o lettere bollate (così chiamate perché rese valide dal sigillo pendente in piombo attaccato alla pergamena con un filo di seta o di canapa) di Innocenzo XI, il papa Comasco, al secolo Benedetto Odescalchi, nato nella parrocchia di San Donnino, nel palazzo che esisteva sul sito dell'attuale Biblioteca Comunale, a tarda sera (ora quarta di notte, cioè circa le 23) del giorno 18 maggio 1611 e denunciato il giorno successivo 19 al parroco.
Estetica la scrittura, chiamata per l'utilizzo “Bollatica” o “Littera Sancti Petri”, ma artificiosa e di difficile lettura, tanto che alcuni secoli più tardi, nel 1878, un altro pontefice, Leone XIII dovette abolirla perché divenuta ormai tanto incomprensibile da essere necessario accompagnare questo documento ufficiale con una trascrizione.
Il nostro papa Innocenzo, passato alla storia come uomo ultra sobrio, severo, quasi addirittura trasandato nel vestire non avrebbe mai acconsentito, se fosse stato in suo potere il farlo, all'uso di una grafia così poco pratica, così poco rispondente alla mentalità di uomo schietto, diretto, frugale, nato e allevato in una famiglia di mercanti lombardi e fedele per tutta la vita alle sue origini, ma questi erano gli usi inveterati e insindacabili della Cancelleria Pontificia di quegli anni.
Il suo “coppiere”, poi Maestro di Camera, Camillo Mugiasca, il personaggio cui sono rivolte due fra le bolle conservate all'Archivio di Stato, un lontano parente, figlio anch'egli di un “Livio”, nome sospetto che tradisce da solo la parentela con gli Odescalchi ( la nonna di Camillo fu infatti Beatrice Odescalchi) e che lo conobbe da vicino (fu suo “cubiculare” fin da quando Benedetto lasciò il vescovato di Novara per ritornare a Roma-1654) portò a Como, alla morte del pontefice, ai suoi fratelli per essere conservata una camiciola di “ormesino” (= una seta pregiata sottile così chiamata perché originaria della città di Hormuz tra il Golfo Persico e quello di Oman) cremisi ( rosso vivo) appartenuta a Innocenzo XI “tanto di dentro come per di fuori imbottita di ovata con sedici bottoni davanti cucciti a due a due separatamente e quattro per ciascheduna delle maniche, quali (=le maniche) restano per di sopra allacciate con nove bindelli cremisi per ciascuna”. Fino a qui il lettore non trova alcunché di strano, ma è la prosecuzione del racconto che è rivelatrice, tanto più che il documento da cui è tratto viene indicato come una “autentica”, sottoscritta dalle parti e dal notaio Giacomo Cattaneo di Como, di quella che i Mugiasca avrebbero voluto diventasse una reliquia.
Innocenzo XI della camiciola “se ne servì per molti anni prima che morisse, a segno che si trova molto logora, massime ne gomiti, uno de quali, cioè il dritto (=il destro) è pezzato e l'altro è accomodato con la seta, come pure la detta camisciola è assai onta per il molto uso della medema e le maniche di essa sono allacciate con li sudetti bindelli perché se gli potesse mettere e cavare con facilità nel tempo che veniva travagliato dalla Podagra”, la malattia, conosciuta anche col nome di gotta che fece soffrire molto anche il fratello maggiore di Benedetto, Carlo e che costringeva il pontefice a lunghe infermità nel letto, soprattutto nei periodi invernali.
Camillo, il destinatario delle due bolle (l'elezione al canonicato di San Giovanni in Laterano nell'aprile del 1677 e la nomina di abate dell'abbazia di San Paolo a Tortona nell'aprile del 1678) e di altrettanti “brevi”, cioè lettere apostoliche meno formali, tutte disposizioni che sottintendevano l'accesso a rendite per il suo mantenimento, fu il classico figliol prodigo, accolto dalla benevolenza dell'Odescalchi già cardinale, mentre appena laureato all'università di Pavia in utroque ( come il suo protettore), aveva combinato un grosso guaio, solo cinque anni più tardi sanato mediante una bolla assolutoria di Alessandro VII (1659) certamente ispirata dal Cardinale Benedetto. Forse un bravo ragazzo in fondo all'animo se divenne così devoto al pontefice, ma tipico esponente di quella cultura aristocratica seicentesca lombarda descritta magistralmente dal Manzoni e incarnata nella figura di Lodovico (fra Cristoforo). Esattamente come costui, Camillo era di famiglia mercantile di grande tradizione (i Mugiasca possedevano già nel Quattrocento fondaci in Roma proprio insieme con gli Odescalchi), era colto, studiava legge, si comportava come se il mondo gli appartenesse e, forse per troppa baldanza di sé, come Lodovico, poco riflessivo, in una notte di febbraio del 1654, verso le dieci di sera, probabilmente mentre passeggiava per le strade (si pensa di Pavia ), (si noti) armato (=anche se era consuetudine all'epoca per un nobile rampollo) fu assalito da quattro soldati “Spagnoli”che lo accerchiarono in un piccolo agguato e gli sottrassero lo schioppo breve che portava, chiamato “terzarolo”, e tutto il denaro che aveva con sé. Il passaggio fortuito di una coorte di altri soldati sembrava aver salvato Camillo, infatti la coorte ottenne che gli fosse restituita l'arma e cercava di recuperare anche i soldi: fu allora che uno degli Spagnoli percosse con forza con tre colpi di archibugio (probabilmente con il calcio dell'arma) Camillo sul petto che, sopraffatto dalla rabbia, (lui dice temendo cose peggiori, cioè la perdita della vita), sfoderato lo schioppo, sparò e ferì il soldato della cui ferita morì. Un omicidio che sconvolse dapprima la vita del giovane studente e dei familiari, poi giudicato per legittima difesa nella assoluzione pontificia e che, tuttavia, illumina sulla condotta e sul carattere dell'Odescalchi, forse a torto tacciato di eccessivo moralismo quando cercò di opporsi alla moda francese che spingeva le donne a lasciare collo e braccia nude, o quando ancora negò la comunione a quelle non vestite decorosamente o addirittura dispose che venisse convenientemente abbigliata la “Madonna” di Guido Reni custodita al Quirinale, ma che scelse con molta apertura di vedute e con il consueto buon senso il giovane Camillo, portandoselo dietro a Roma, educandolo e proteggendolo come un padre fino alla sua morte. Un carattere che appare qua e là anche sorprendentemente arguto quando invita i suoi “Camerata”nel mese di luglio a risvegliarsi, a lasciare le proprie occupazioni e a godersi finalmente il lago, suggerendo a Nicolò (suo fratello) di deporre le occupazioni, al medico Riva di pigliare licenza poetica dagli ammalati e al Bagliacca “proibirli il far l'amore in questi tempi che bisogna solo attendere alla conservazione dell'individuo”.
(* Archivio di Stato di Como)
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