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Giovedì 28 Luglio 2011
Donna morta al Sant'Anna
per un gomito fratturato
Il perito del giudice scagiona i medici accusati della morte di una paziente vittima di una «tromboembolia» dopo un intervento chirurgico per una frattura al gomito. Ma nell'inchiesta che coinvolge quattro camici bianchi del Sant'Anna di Como spunta soltanto ora un protocollo di cura interno che avrebbe imposto ai sanitari di dare alla paziente una cura per ridurre il rischio di embolia.
Il retroscena è emerso ieri, durante l'incidente probatorio in cui il perito nominato dal giudice delle udienze preliminari Nicoletta Cremona ha spiegato perché, a suo giudizio, non vi sarebbe un nesso causale tra il comportamento dei medici e la morte della donna, a dispetto dell'indicazione di «elementi che fanno ritenere non corretto l'inquadramento clinico operato dai sanitari».
Nel corso del lungo botta e risposta a cui il perito, il dottor Enrico Maggiore di Torino, è stato sottoposto dal pm Antonio Nalesso, dall'avvocato del Sant'Anna Renato Papa, ma soprattutto dal legale della famiglia della vittima, il penalista comasco Pierpaolo Livio, si è affrontata soprattutto la mancata prescrizione alla paziente di una terapia anticoagulante. L'avvocato Livio, nel corso dell'udienza, ha anche presentato un protocollo realizzato dallo stesso ospedale Sant'Anna nell'aprile 2010, ovvero sette mesi dopo la morte di Bruna Ferrario, nel quale si raccomanda la terapia anticoagulante in quegli interventi di ortopedia su pazienti a rischio, come lo è una donna di 61 anni.
Linee guida che sono diretta conseguenza della morte della paziente e della conseguente denuncia ai medici del Sant'Anna (tuttora indagati, anche se di fatto scagionati dal perito: Daniele De Spirito, Riccardo Bonadies, Salvatore D'Amico e Giovanni Corengia) e che l'esperto nominato dal giudice ha liquidato sostenendo che i protocolli «non esauriscono la loro funzione nella prospettiva scientifica, ma tengono anche conto di questioni di politica aziendale».
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