Pagato il tributo inevitabile alla buffoneria e alla ferocia che sono una delle caratteristiche più sconcertanti del carattere nazionale, l'uscita di scena di Berlusconi apre una fase politica nella quale i pericoli e le opportunità si intrecciano in un nodo inestricabile.
Il 25 aprile del Cavaliere - segnato dagli insulti e dalle monetine di una folla di poveracci sempre pronti ad assistere con autentica gioia a un'esecuzione di piazza - è sembrato purtroppo non la fine dell'esperienza di governo del presidente del Consiglio, regolarmente eletto, di un grande Paese democratico, ma piuttosto la liquidazione a furor di popolo del feroce dittatore di una repubblica delle banane. E fortuna sua se, questa volta, si è evitato un vero e proprio piazzale Loreto.
Se Berlusconi può dunque ragionevolmente rallegrarsi che non gli sia andata peggio, occorre dire che se questo è l'inizio di una fase nuova, gli auspici sono il contrario che incoraggianti. In particolare, quando il segretario della maggiore forza politica della sinistra - quel Bersani giudicato largamente inadeguato perfino dai suoi, ma comunque ancora in sella - sproloquia di libertà ritrovata, celebrando con un'enfasi che ha proprio del buffonesco una svolta politica che si determina per le volontarie dimissioni del capo del governo e non certo per la sua cacciata ad opera dell'efficace azione dell'opposizione. Tutto questo non può che autorizzare le tante perplessità che si registrano in queste ore, e anche qualche autorevolissima presa di distanza dal progetto che si sta definendo.
Se tuttavia si prescinde dai comprensibili nervosismi del momento e non ci si incarta in polemiche sul sesso degli angeli o sui governi tecnici e politici, si coglie, insieme alla giustificatissima percezione dei pericoli, anche quella di opportunità che si vanno aprendo. Non c'è dubbio, infatti, che, se è una sciocchezza parlare di governo esclusivamente "tecnico" (visto che la sua nascita e sopravvivenza dipendono da un consenso politico da trovare in Parlamento) la politica e i partiti abbiano dovuto fare un passo indietro vistoso di fronte ai problemi reali di un'economia che si ribella alle chiacchiere, alle cialtronerie e alle promesse non mantenute. I moniti e le pressioni di Bruxelles, insomma, un qualche ruolo in ciò che sta avvenendo ce l'hanno di sicuro e, invece che gridare al commissariamento dell'Italia, dovremmo prenderne atto tutti con qualche sollievo e speranza per il futuro.
Con Monti a guidare il prossimo governo, la strada da percorrere risulterà in larga misura già tracciata ed estremamente limitato lo spazio concesso alle fantasie e alle alzate d'ingegno, soprattutto quando queste abbiano un costo che le casse dello Stato non possono sopportare. Maggioranza e minoranza hanno dunque entrambe due opportunità: la prima è di cercare di trarre dal nuovo governo il massimo profitto di parte, appoggiandone solo le azioni che coincidono con la propria visione delle cose o addirittura collocandosi all'opposizione, la seconda è offrire la propria leale collaborazione preparandosi a un futuro, ma non lontano, giudizio dell'elettorato che sia meno severo di quanto risulterebbe oggi.
Una terza strada non c'è e sarebbe bene rendersene conto il prima possibile. Monti è in questo momento non soltanto l'opzione migliore per il Paese, ma anche l'opzione migliore per quelle forze che intendano affrontare l'emergenza di oggi guardando anche a una propria ricostruzione, indispensabile se vogliono davvero avere un futuro.
Antonio Marino
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