In assenza di alternative la mente si sgombra in maniera meravigliosa.
Lo diceva Henry Kissinger, il consigliere americano che di crisi ne ha combattute parecchie e provocata qualcuna.
Senza scelta siamo anche noi, naufraghi costretti ad aggrapparci alle onde: dobbiamo nuotare per forza. Così si sbracciano di buona lena pure gli imprenditore tessili, che si ribellano al parola "baratro" evocata dal presidente nazionale di Confindustria, la pur tenace Emma Marcegaglia.
A proposito di balzo nel vuoto, ricordiamo una vecchia barzelletta da prima repubblica, con Craxi che proclamava: "Quarant'anni di Dc ci hanno portato sull'orlo del baratro. Votate Socialista: faremo un passo avanti". C'è poco da ridire, ora. La questione è di sopravvivenza e perciò chi ha un'azienda non vuole neppure sentir parlare di congiuntura negativa, dati in flessione, crescita lenta. Per lo stesso motivo sono messi alla porta e additati come untori i Pasqualino Iettatore travestiti da austeri docenti, eccelsi studiosi che snocciolano statistiche con una disinvoltura da commessa di un negozio d'alta moda.
Non ci stanno, gli imprenditori, alla sconfitta, alla resa. Non ci sta Ambrogio Taborelli, ex presidente proprio degli industriali e proprietario di un'azienda che negli ultimi anni ha risalito di slancio la corrente delle difficoltà, riuscendo addirittura ad allargarsi, altro che abbassare la saracinesca. Uomo ruvido ma di sostanza come certi panni inglesi di lana, Taborelli è abituato a fronteggiare l'emergenza guardando i suoi operai in faccia. Figuriamoci qualche gatto nero che passa. «Rimbocchiamoci le maniche» dice, punto e basta.
A cadere nel baratro non ci sta neppure Graziano Brenna, che da una fetta delle vecchia Ticosa ha ricavato un gioiellino ed è stufo dei politici che parlano a vanvera, non di alzarsi ogni mattina e andare in fabbrica.
Non ci stanno loro, non ci stanno neppure i più giovani. Soprattutto i più giovani. Ne abbiamo conosciuto uno, l'altra sera. Si chiama Marco Taiana e oltre a lavorare nella ditta di famiglia si occupa di un progetto di ComOn e dei giovani industriali per portare ogni anno alcuni studenti di design che vengono da tutta Europa e stanno qui un mese, per imparare come la teoria diventa pratica. Marco è un ragazzo dagli occhi limpidi, misurato e di buone maniere, di quelli che sono la luce negli occhi di ogni mamma e, ancor di più, di ogni nonna. Da quattro anni segue questo progetto e non si arrende, neanche quando qualcuno dei ragazzi più svegli sceglie di andare a far esperienza alla Jaguar invece che nella fabbrichetta di tinto in filo della Brianza. «Lo fanno per il curriculum, ma chi viene qui ha un'opportunità unica, perché non giochiamo con i marchi, noi trasformiamo lo stile, il design, la moda che hanno studiato sui libri o hanno ammirato nelle riviste, in prodotti di qualità eccelsa. Noi sappiamo "fare" e chi viene a Como non lo dimentica».
Se lo ricordano loro, i ragazzi che sono in città da un mese, come potremmo scordarlo noi, che in questa terra abbiamo radici e testa?
Il baratro può attendere, almeno qualche altra settimana. Il tempo di riprendere un attimo il fiato e tornare a nuotare, nella certezza che dopo tanta acqua prima o poi torneremo a gridare: "Terra!".
Giorgio Bardaglio
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